Archeologia Sicilia: ritrovata un’antica lucerna raffigurante una scena erotica

La lucerna ritrovata a Villalunga rappresenta una scena erotica e si aggiunge ai tanti reperti di età romana già rinvenuti e classificati nello stesso cantiere di scavo
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Un importante reperto è emerso durante alcuni lavori di scavo in contrada Manca a Vallelunga Pratameno, in provincia di Caltanissetta. Il ritrovamento consiste nei resti di una lucerna raffigurante una scena erotica e che risale probabilmente al I secolo d.C., come testimonia un reperto molto simile ritrovato a Pompei.

La preziosa lucerna è un’ulteriore testimonianza della straordinaria ricchezza del patrimonio culturale siciliano e di un sito che sta regalando numerosi e importanti ritrovamenti. La nostra Isola si conferma un inesauribile serbatoio di storia e cultura da valorizzare ulteriormente e da far conoscere al mondo” ha dichiarato l’assessore regionale ai Beni culturali e all’identità siciliana, Alberto Samonà.

La scoperta è avvenuta durante alcuni lavori di sorveglianza archeologica, disposti dalla Soprintendenza ai Beni culturali di Caltanissetta, nell’ambito del raddoppio della linea ferroviaria Catania-Palermo.

Gli scavi archeologici, avviati nel luglio 2020 e ancora in corso, hanno già messo in luce i resti di un esteso complesso di età romano-imperiale. Si tratta, probabilmente, di una domus appartenente a un facoltoso proprietario vissuto tra il I e il II secolo d.C e suddivisa in pars rustica e pars dominica con ampio peristilio, del quale restano consistenti parti del colonnato.

“La lucerna è una nuova, preziosa testimonianza che arriva da un sito, la cui scoperta rappresenta un evento eccezionale. Nella zona, infatti, non ci sono altri insediamenti di questo tipo. Al momento, si sta lavorando per calcolare le esatte dimensioni della domus: è stata accertata un’estensione di 600 metri quadrati ma quella complessiva è di gran lunga superiore” ha dichiarato la Soprintendente ai Beni culturali di Caltanissetta, Daniela Vullo.

La lucerna, ultimo ritrovamento in ordine temporale, si aggiunge ai tanti reperti di età romana, attestabili tra il I e il II secolo d.C., già rinvenuti e classificati nello stesso cantiere di scavo.

Non e’ certo il collegamento della lucerna con la villa“, spiega, Marina Congiu, archeologa che dirige gli scavi, ma reperti del genere adornavamo le residenze dei ricchi signori di Pompei ed e’ dunque ipotizzabile lo status sociale del proprietario della villa a Vallelunga Pratameno. “L’indagine archeologica, iniziata nel mese di luglio 2020 ed e’ in fase di svolgimento”, spiega Vullo, ed e’ attualmente limitata a un raggio di 225 metri quadrati. Le strutture murarie della villa ne indicano l’importanza. L’insediamento rurale misura circa sei ettari, e potrebbe appartenere all’eta’ romano-imperiale: il sostentamento di chi lo abitava proveniva da attivita’ cerealicole.

Tra gli strati di crollo sono state trovate di recente alcune tegole con il bollo, a indicare il legame della struttura con un personaggio della cerchia pubblica romana. La villa consta di 5 o 6 ambienti che si articolano ad Est, a Nord e a Sud di un lungo ed ampio portico a forma di L. Nella parte oggi visibile il portico era delimitato a Sud e ad Ovest da muri esterni che inglobavano nella muratura colonne fittili poste alla distanza di circa 2 metri una dall’altra. Queste colonne erano formate, ciascuna, dalla sovrapposizione di dischi in terracotta del diametro di 35 centimetri circa, legati tra loro da uno strato di malta. Gli spazi fra le colonne erano probabilmente chiusi da bassi muretti (alti circa tra m 1,20/1,50) e la copertura del portico era costituita da una stretta tettoia a spiovente. A Nord e ad Est del portico, divisi da muri ben delineati, si disponevano diversi vani (al momento tre accertati, ma piu’ probabilmente cinque) uno dei quali direttamente comunicante col portico tramite un varco. I vani erano a pianta quadrangolare, dotati di copertura e finalizzati a diversi utilizzi. Uno di essi era un magazzino o un deposito: al suo interno e’ stato trovato un “Dolio”, ovvero un grande contenitore in terracotta del tipo solitamente destinato alla conservazione delle derrate alimentari. A sud il portico cingeva invece un atrio o un’ampia corte scoperta, anch’essa di forma quadrangolare.

E’ molto probabile, spiegano gli archeologi, che il complesso si articolasse in due aree: una pars dominica, ovvero la zona residenziale del domus, e in una pars rustica, dove trovavano sede gli spazi e gli impianti utilizzati per la conduzione delle attivita’ agricole. Vari segni di rimaneggiamento e riutilizzo – sia delle strutture rilevate che dei materiali da costruzione – attestano che il complesso ebbe lunga vita e conobbe nel tempo diverse fasi d’uso. “Questa ipotesi – aggiungono gli esperti – trova conferma nell’abbondanza dei tipi ceramici rinvenuti, fra i quali si distinguono lucerne, anfore, vasellame da mensa in terra sigillata (ceramica caratterizzata da una vernice rossa brillante e da ornamenti a stampo in rilievo) sia italica che africana, collocabili entro un arco cronologico compreso tra il I ed il IV secolo d.C. “.

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