“Da quando sono iniziate le attività eruttive parossistiche dell’Etna nel 2021, le reti di monitoraggio geodetico dell’INGV mostrano marcate deformazioni che interessano l’intero vulcano, rilevate dalle reti strumentali e studiate dai suoi scienziati”, si legge in un articolo a cura di Valentina Bruno e Mario Mattia, pubblicato sul blog INGVvulcani.
“La misura delle deformazioni del suolo in un vulcano attivo rappresenta uno degli strumenti di “prima linea”, insieme alla sismicità ed alla geochimica, nelle attività di monitoraggio e sorveglianza di un osservatorio vulcanologico. Dopo essere stato pioniere nelle misure delle deformazioni del suolo già negli anni 70 del secolo scorso, da ormai 20 anni l’Osservatorio Etneo dell’INGV gestisce una delle più estese e complete reti di monitoraggio delle deformazioni del suolo esistenti al mondo, basata sull’acquisizione dei dati provenienti da satelliti GPS, gli stessi utilizzati dai comuni smartphone per conoscere la nostra posizione in tempo reale. Questi dati vengono processati tramite appositi software allo scopo di ricavare, 24 ore su 24 e in tempo reale, la posizione di ogni singola stazione posta sui fianchi o sulla sommità del vulcano. Attualmente nell’area etnea sono presenti 34 stazioni GPS (o meglio GNSS, perché da qualche anno il sistema comprende anche dati da altre costellazioni di satelliti dedicati al posizionamento, come il GLONASS, GALILEO e BEIDOU) e, grazie a loro, possiamo osservare in tempo reale come varia la “forma” dell’Etna in risposta ai movimenti dei fluidi magmatici che la attraversano o dei movimenti delle faglie sui suoi fianchi. Nei periodi che precedono l’attività eruttiva è tipico osservare quella che in termine tecnico viene chiamata inflazione, ovvero un rigonfiamento dell’edificio vulcanico in risposta all’accumulo o al movimento di fluidi, all’interno dell’edificio vulcanico. Allo stesso modo, dopo importanti fenomeni esplosivi (come quelli degli ultimi tempi) o dopo un’attività effusiva, viene osservato uno “sgonfiamento” che prende il termine tecnico di deflazione. Questi cicli di inflazione/deflazione assomigliano molto al respiro del vulcano e, all’Etna, questo processo è particolarmente evidente”, continua l’articolo.

Figura 1 – Variazione areale di due triangoli formati da stazioni in area sommitale (cerchi blu) e da stazioni a quote intermedie (cerchi verdi).
“Nell’immagine precedente (Figura 1) è rappresentato un grafico che mostra l’andamento delle variazioni dell’area di due triangoli centrati uno nell’area sommitale (quello indicato con pallini blu) e l’altro (quello indicato con pallini verdi) a quote più basse. In sintesi, la misura giornaliera (con precisione millimetrica) delle distanze tra i capisaldi delle stazioni GNSS permette di calcolare l’area di alcuni triangoli che aiutano a seguire le variazioni della forma del vulcano. Si può osservare che dall’inizio della attuale fase eruttiva, con le sue frequenti fontane di lava, l’Etna sta mostrando una forte deflazione.
Un altro modo di visualizzare le deformazioni del suolo per mezzo dei dati delle stazioni GNSS è costituito dalle “mappe di velocità”, dove vengono visualizzate le velocità di spostamento (in millimetri/anno) delle singole stazioni, sia nelle componenti planimetriche (Est-Ovest e Nord-Sud) che in quota, cioè verticali. In Figura 2 è possibile osservare come queste velocità siano, in questa fase di intensa deflazione, dirette verso l’area centrale del vulcano, ad indicarci che la sorgente di questa contrazione/sgonfiamento è ubicata proprio al di sotto dell’area sommitale etnea. Anche le quote si abbassano, in coerenza con questa modalità di deformazione”.
“Tramite l’applicazione di modelli matematici, possiamo calcolare, inoltre, la posizione e la dimensione (in variazione di volume) della sorgente che ha generato la deformazione. Queste informazioni sono di fondamentale importanza perché permettono di valutare eventuali analogie o differenze con scenari già osservati nel passato, e quindi, di immaginare anche i probabili scenari futuri”, concludono Bruno e Mattia.
“I numerosi terremoti etnei registrati in questi ultimi giorni, si distribuiscono su tre volumi focali ben distinti: due più superficiali, nelle zone di Ragalna (1) e Trecastagni (2), che possono essere imputabili alle omonime faglie, rispondono probabilmente alla deformazione dovuta alla deflazione (sgonfiamento) del vulcano che stiamo misurando da giorni”, si legge in un post pubblicato sulla pagina Facebook di INGVvulcani. “Quando il vulcano si contrae rapidamente, si genera una repentina distensione sui fianchi e intorno al sistema di alimentazione che fa muovere le faglie. Il terzo volume focale dei terremoti (3), più profondo, potrebbe anch’esso essere legato alla stessa dinamica, ma relativa alla depressurizzazione del sistema di alimentazione più profondo”, conclude il post.