In Italia il dibattito e le dispute su scuola aperta o scuola chiusa si fanno sempre più caldi, e tra teorie più o meno scientifiche e più o meno provate, diventa sempre più difficile districarsi. Ma a prescindere dall’opinione di questo o di quel gruppo di genitori o di insegnanti, dove sta la verità? Esiste una scelta giusta? A quanto pare, sì. Per capirlo partiamo da un dato inconfutabile: nel nostre Paese, dove le classi sono rimaste chiuse ben più a lungo che negli altri Paesi europei, non c’è correlazione significativa tra diffusione dei contagi e lezioni in presenza. Aprire o chiudere le scuole, dunque, non influisce minimamente sull’andamento dei contagi.
A questa conclusione è arrivata una enorme ricerca, la prima di questo tipo in Italia, condotta da una squadra di epidemiologi, medici, biologi e statistici tra cui Sara Gandini dello Ieo di Milano. “Il rischio zero non esiste ma sulla base dei dati raccolti possiamo affermare che la scuola è uno dei luoghi più sicuri rispetto alle possibilità di contagio“, spiega l’epidemiologa e biostatistica. Lo studio in questione ha preso in esame i dati del Miur, incrociandoli con quelli delle Ats e della Protezione civile, fino a coprire un campione iniziale pari al 97% delle scuole italiane: ovvero oltre 7,3 milioni di studenti e 770 mila insegnanti.
“Perché è ora di riconoscere che gli studenti, a scuola, le regole le rispettano – scrive in un post su Facebook Sara Gandini citand un altro studio giunto alle medesime conclusioni -. Questo recente studio americano conferma tutti gli studi visti in Europa e fuori Europa. A scuola i contagi sono rari e gli studenti rispettano le indicazioni di sicurezza che vengono stabilite. Dal 20 agosto al 27 novembre, sono stati eseguiti test su 8.955 campioni di saliva da 405 docenti e membri del personale e 12.494 campioni di tamponi nasali di 775 studenti, indipendentemente dai sintomi. Sono stati trovati positivi solo lo 0,18% test tra docenti e membri del personale e lo 0,06% tra gli studenti, rappresentando il 4% dei docenti e dei membri del personale e l’1% degli studenti. Altri due docenti e membri del personale sono stati testati al di fuori dei protocolli della scuola e hanno ricevuto risultati positivi del test fuori dal campus”.
“Tra tutte le persone con risultati positivi ai test – prosegue l’esperta –, cinque dei 17 docenti e membri del personale e due degli otto studenti hanno riportato sintomi lievi dopo la diagnosi; nessuno ha richiesto il ricovero in ospedale. Per la stragrande maggioranza dei casi (93%) la fonte di infezione proveniva da fuori dal campus, inclusa l’esposizione a familiari o amici con COVID-19 che vivevano fuori dal campus, esposizioni sul posto di lavoro esterno per i coniugi di docenti e membri del personale.
Il tracciamento dei contatti, basato sulla durata del contatto riportata entro 1,8 m da una persona con COVID-19 aiutato dai dati dei dispositivi di tracciamento personale, ha identificato 14 contatti scolastici di pazienti studenti e 17 contatti scolastici di docenti e membri del personale pazienti. Tutti i contatti sono stati messi in quarantena per 14 giorni e nessuno ha ricevuto un risultato positivo del test durante la quarantena, suggerendo che le strategie di mitigazione del rischio messe in atto erano efficaci nel prevenire la trasmissione dai pazienti ai loro contatti”.
“Nel complesso – conclude Gandini -, l’adesione degli studenti ai protocolli di mitigazione sono state elevate. Tutti i membri del personale e i docenti del campus erano autorizzati a far rispettare i protocolli attraverso osservazioni agli studenti come parte delle loro normali mansioni quotidiane, che servivano da promemoria agli studenti sull’importanza dell’attenzione alle regole per ridurre il rischio di contagi. Nel corso del semestre, 10 (1,3%) di 775 studenti hanno ottenuto tre richiami e sono stati rimandati a casa per 2 settimane”.
E in Italia la situazione non è dissimile. La chiusura totale o parziale delle scuole, ad esempio in Lombardia e Campania, non ha influito in alcun modo sugli indici Kd e Rt. Ma non solo. Secondo l’esperta il ruolo degli studenti nella trasmissione del coronavirus è marginale: “I giovani contagiano il 50% in meno rispetto agli adulti, veri responsabili della crescita sproporzionata della curva pandemica. E questo si conferma anche con la variante inglese”. I focolai da Sars-Cov 2 che scoppiano nelle classi sono dunque casi molto rari (sotto il 7% di tutte le scuole) e la frequenza nella trasmissione da ragazzo a docente è statisticamente poco rilevante. E’ invece alto (ovvero quattro volte più frequente) il rischio che gli insegnanti si contagino tra loro, magari in sala professori, ma come spiega ancora Gandini, si tratta dello “stesso rischio che si assume, ad esempio, in qualunque ufficio“. Non ci sono più scuse, dunque, né per quegli insegnanti (sempre meno per fortuna) che da mesi si battono per la scuola chiusa, né per quei genitori che sostengono la medesima tesi.