“Potrebbero essere state le esalazioni di acido solforico prodotte dalle batterie allagate a creare l’innesco per l’esplosione che ha fatto affondare il sommergibile San Juan della Marina Militare Argentina.“ Lo hanno spiegato all’Agi Emilio Campana, direttore del Dipartimento di ingegneria del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e Daniele Ranocchia, direttore dell’Istituto Nazionale per studi ed esperienze di Architettura Navale (Insean) del Consiglio Nazionale delle Ricerche).
Qualche ora fa la Marina argentina ha ammesso che a bordo del sottomarino lo scorso 15 novembre si era registrata un’esplosione e che l’ultimo contatto avuto con il San Juan era avvenuto solo qualche ora prima e aveva segnalato un incidente a bordo. Oltretutto, dall’ultimo rapporto ricevuto dal San Juan, a bordo ci sarebbe stata una infiltrazione di acqua dallo snorkel che avrebbe raggiunto la sala batterie provocando corto circuiti e un principio di incendio.
“Lo snorkel – ha spiegato Fontana – e’ il sistema che serve al sommergibile per prendere aria dall’esterno e navigare con il motore diesel anche in immersione. Si tratta di sistemi che sono alloggiati sopra la vela (la torretta n.d r. ) del sottomarino e che sono dotati di tutta una serie di meccanismi che servono proprio ad impedire questo tipo di incidenti, ovvero l’ingresso di acqua. Evidentemente qualcosa non ha funzionato”.
Però poiché lo snorkel mette in collegamento con l’esterno la sala macchine dove sono ospitati i motori e non certo quella delle batterie, l’acqua dunque non avrebbe dovuto mai raggiungere le batterie. “Durante la navigazione – ha spiegato Ranocchia,- le paratie stagne dovrebbero essere chiuse proprio per evitare che l’acqua, una volta entrata possa allagare diversi compartimenti. Evidentemente in questo caso non e’ stato possibile contenere l’allagamento al vano dei motori e l’acqua ha raggiunto le batterie”.
Proprio l’allagamento del vano delle batterie, e’ uno degli scenari piu’ temuti dai sommergibilisti che gia’ in passato ha causato diversi incidenti fatali. “Se l’acqua raggiunge le batterie non solo si possono avere principi di incendi, ma anche reazioni chimiche che sprigionano gas molto pericolosi, come per esempio l’acido solforico” spiega Ranocchia. “Se e’ andata cosi’ – aggiunge il direttore dell’Insean – possiamo immaginare che a bordo del San Juan la situazione fosse gia’ critica dopo il primo allagamento e che anche le operazioni di contenimento degli incendi o dei gas fossero rese difficili non solo dagli incendi e dai corto circuiti dei sistemi elettrici, ma anche dal mare molto mosso che avrebbe impedito al sottomarino di riemergere. In queste condizioni il rischio di una esplosione o di un incendio ai depositi carburante e’ davvero molto alto”.