di Luigi Antonio Pezone – Quest’articolo vorrebbe essere una specie di vademecum per coloro che intervisteranno i politici nella prossima campagna elettorale 2013, sul tema della crescita che manca, da un trentennio nel nostro Paese. Il tema che tratto va oltre la crescita di un singolo Paese. Ma chi ha detto che la crescita si debba differenziare da un paese all’altro? Non siamo nell’epoca dell’economia globale? Non sono comuni le risorse di base? Non respiriamo la stessa aria? Non ci nutriamo con i prodotti della terra e del mare? La verità è che il capitale ha una mano lunga per prendere e una corta per dare. Sono molti i padri dell’economia globale, mentre la depurazione globale nessuno la vuole conoscere. Ha un solo padre, sconosciuto e snobbato, da tecnici ed economisti. Eppure, per coerenza, le due cose dovevano nascere insieme. Anzi, doveva nascere prima la depurazione globale. Non esiste nessuna attività produttiva che non produca contemporaneamente l’inquinamento dell’acqua e dell’aria. In rari casi depuriamo e lo facciamo solo parzialmente, trascurando emissioni di CO2, calore e acidità che si traducono in inquinamento e riscaldamento globale. Chi si candida a rappresentare una comunità piccola o grande, deve chiarire come la pensa su questo argomento fondamentale per la vita dell’uomo e di tutte la specie viventi. Invece tutti tacciono, nascondendo la testa nella sabbia, a partire dagli intervistatori. Si dirà che in campagna elettorale non si possono affrontare problemi troppo tecnici e specifici. La verità è che non c’è mai tempo per chi affonda il coltello nelle piaghe che vedono a braccetto politici e tecnici. Le risposte ci farebbero comprendere dove ci vogliono portare le vecchie e nuove formazioni politiche. Almeno, se vanno a tentoni, oppure, se hanno dei progetti. Non parlo di programmi ma di progetti. Purtroppo, sono scettico. Non mi aspetto molto dalla salita in campo di qualcuno o la discesa di qualche altro. La politica è malata, ma i politici vanno e vengono. Anche se sono gli stessi, non si occupano sempre delle stesse cose. Forse, chi governa veramente il Paese è la burocrazia che si è insediata nei vari ministeri e centri di potere regionali e provinciali. Ci sono tantissimi funzionari che guadagnano più dei ministri e difficilmente si assumono delle responsabilità. Chi ha provato a mettere ordine nella pubblica amministrazione non ha mai completato il lavoro. Ha solo accennato a farlo. E’ partito sempre dal basso e ha colpito sempre gli stessi. Non avendo idee e progetti, i governi si preoccupano di non spaventare i ricchi che ancora non hanno abbandonato la nave. Sperano che questi creino lavoro, facendo sconti, soprattutto, sull’ambiente e sulle garanzie dovute ai lavoratori. Ma il sistema non può reggere e stanno venendo fuori, contemporaneamente, problemi ambientali, occupazionali, sociali. Ai miei tempi esisteva un leale confronto tra padroni e lavoratori. Oggi, con l’economia globale, il capitale si sposta da un estremo all’altro del pianeta. Sfugge alle proprie responsabilità sociali, è venuto meno anche il ruolo dei sindacati, che già svolgevano una funzione parziale. Difendeva chi il lavoro lo aveva. Chi non ha mai lavorato, non è mai stato difeso da nessuno.
Nei prossimi giorni, si parlerà, genericamente, di far riprendere l’economia e l’occupazione attraverso importanti opere per il risanamento idrogeologico del Paese, la ripresa dell’edilizia, dell’industria, dell’agricoltura, del turismo, ma senza ricette precise. Nessuno le ha queste ricette, ma tutti ne parleranno come le avessero nel cassetto e, per magia, i progetti, dovrebbero apparire dopo che saranno eletti.
Chi, come il sottoscritto, sostiene che il modello di sviluppo attuale, che spreca risorse, è sbagliato, non è candidato, intervistato, né ascoltato. Queste cose nessuno le vuole sentire perché significano che nessuno si è accorto di niente. Né chi ha governato, né chi è stato all’opposizione, né chi insegna nelle università e fa da consulente tecnico a chi governa. Se per crescita s’intende competere, a scapito dell’ambiente e delle risorse naturali per produrre beni industriali più del necessario, è meglio fare un passo indietro, quando abbiamo ancora delle riserve naturali da gestire. Il sacco si doveva risparmiare quando era pieno. Siamo in netto ritardo. Salviamo il salvabile badando all’essenziale. Cioè, creando il lavoro che serve e dove è necessario. Avremo meno modelli di automobili ma più infrastrutture, occupazione non precaria, meno cassa integrazione. Probabilmente è questa la vera crescita, ma sarebbe meglio chiamarla, più modestamente, “difesa della vita”. Meglio giocare in difesa, che all’attacco. La porta è unica. Oltre che degli avversari, dobbiamo preoccuparci anche delle autoreti. Le Nazioni Unite, hanno stimato che la richiesta di risorse triplicherà entro il 2050 quando le popolazioni supereranno i nove miliardi se gli esseri umani continueranno a utilizzarle con il grado di efficienza attuale. Secondo una proiezione della Commissione europea sull’efficienza delle risorse la domanda di cibo, mangimi e fibre potrebbe aumentare fino 70% entro il 2050, ma il 60% degli ecosistemi più importanti del Mondo dai quali derivano queste risorse sono già stati degradati o vengono utilizzati in modo non sostenibile. Il 2012 ha segnato il record delle emissioni di CO2 nell’atmosfera di oltre 35 giga tonnellate, nonostante la crisi economica mondiale abbia frenato la produzione industriale in molti Paesi. Occorrerebbe un governo mondiale per la gestione delle risorse ambientali ed energetiche. Nessuno ha l’autorevolezza per candidarsi a questa gestione. L’I.P.C.C. (Intergovernmental Panel on Climate Change, gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico, messo insieme dall’O.N.U.), insignito del premio Nobel nel 2007, con Al Gore, per l’impegno nel diffondere la conoscenza sui cambiamenti climatici, dopo il premio ricevuto, ha subito molte critiche internazionali sul piano politico e scientifico non del tutto ingiustificate, a giudicare dalle proposte concrete che ha fatto successivamente. In particolare, il famoso C.C.S.. E’ veramente il caso di dire che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.
In attesa del lontanissimo e impossibile governo mondiale, come semplice elettore italiano, voterò, per chi avrà la capacità e il coraggio di parlare di progetti, non di programmi. Quando si progetta a 360 gradi ci si accorge che risolvendo dei problemi a monte se ne possono creare altri a valle. Ad esempio, la deviazione di un fiume, può agevolare una zona a scapito di un’altra. Un bacino idrico può creare anche inondazioni, la depurazione locale, fatta male, come quella attuale, favorire l’acidificazione dei laghi e dei mari. Quindi, i progetti dovrebbero venire prima dei programmi, ed essere discussi pubblicamente, se sono veramente di pubblica utilità. Ma dove sono i progettisti pubblici che dovrebbero accorgersi di queste incongruenze, e spiegarle alla gente? se le progettazioni pubbliche, sono spezzettate e affidate a lotti, come gli appalti, a società private? Chi possiede una visione globale dell’ambiente? Che sa tradurla in progetti? Per pura combinazione, mi sono accorto di essere uno dei pochi, sia pure con molti limiti, ad avere contemporaneamente una parte delle competenze occorrenti. Non ho potuto sottrarmi a questa sfida. Tanto, se avessi fallito, sarei, semplicemente, stato zitto. Se sono uscito allo scoperto, significa che qualcosa si può fare. Se sono entrato in “facebook” e scrivo articoli, addirittura un libro, è soltanto perché nessuno ha voluto ascoltare. Le mie non sono state ricette improvvisate. Ho iniziato a parlare dopo i primi tre anni di lavoro e di progetti dettagliati. Le ricette di crescita improvvisate, non basate su, progetti sviluppati nel dettaglio, e inquadrati nel contesto territoriale, porteranno, sempre, a opere inutili, bolle finanziarie e posti di lavoro precari. Porteranno agli sprechi di risorse, che hanno portato il popolo italiano a indebitarsi più di ogni altro, pur essendo un popolo di risparmiatori. Dovremmo trarre insegnamento da quanto accaduto in Grecia, dove gli stadi e le strade costruiti, in occasione delle Olimpiadi del 2004, oggi, sono inutilizzati, già cadono a pezzi e hanno decretato il fallimento definitivo di quello Stato. La bolla delle costruzioni edili, in Spagna, che l’aveva portata ad affiancare l’Italia nella graduatoria delle potenze economiche ha avuto lo stesso effetto. Oggi la Spagna nella classifica mondiale, stilata in base al P.I.L, è quattro posti dietro all’Italia. Anche in Italia abbiamo tanti esempi di opere pubbliche lasciate a metà, capannoni industriali, ospedali abbandonati prima di esser messi in esercizio.
Dopo gli esempi della politica economica sbagliata, faccio gli esempi della politica ambientale sbagliata: le nazioni più colpite dalle piogge acide sono quelle sulle quali, per effetto dei venti dominanti, si scaricano le nubi acide prodotte in altri paesi. Il problema è particolarmente grave per il Canada che riceve le piogge acide statunitensi, mentre in Europa le nazioni più colpite sono quelle scandinave. In queste aree l’abbassamento del pH in migliaia di laghi ha provocato la scomparsa di numerose specie animali e vegetali. In Germania più dell’8% dell’intero patrimonio boschivo è stato gravemente danneggiato. Polvere, batteri, pollini e semi sono trasportati dai venti e poi depositati a migliaia di chilometri di distanza con le precipitazioni. Grosse quantità di pesticidi sono state osservate persino nei ghiacci polari, negli esquimesi e nei pinguini. Le fuliggini urbane opacizzano le candide nevi delle montagne, favorendo l’assorbimento del calore solare e lo scioglimento delle nevi. E’ stato dimostrato, che le barriere coralline esposte a sedimenti con un elevato contenuto di nutrienti, provenienti per esempio dalle aree agricole, muoiono in pochi giorni dopo gli eventi alluvionali che le trasportano. I laghi interni cinesi sono verdi come praterie, dominati dall’eutrofizzazione. In Italia rischiano la desertificazione molte zone, al sud, continuando l’estrazione selvaggia dalle falde e restituendo alle stesse acque inquinate da nitrati e arsenico. Mi colpì, in modo particolare, uno studio pubblicato su Nature (Ciais et al., 2005 http://www.wwf.it/client/render.aspx): mette in evidenza come, a causa dell’eccezionale rialzo delle temperature dei mesi di luglio e agosto del 2003 (in media più di 6°C rispetto ai valori medi del periodo), i boschi e le foreste europee, invece di funzionare come assorbitori di CO2 atmosferica abbiano funzionato come sorgenti, emettendo complessivamente circa 1,850 miliardi di tonnellate di CO2. In Italia, ci sono dei nostalgici che, non contenti dei governi più recenti, rimpiangono governi meno recenti. Personalmente, penso che siamo sempre stati mal governati. A parte l’immediato dopo guerra. Il nostro debito pubblico viene da molto lontano e continua crescere, mentre l’occupazione diminuisce. Nonostante tutto, in alcune produzioni, siamo tra i migliori al mondo. E’ scontato dire, che la crescita deve rinforzare il turismo, decantando le grandi potenzialità del nostro patrimonio storico e paesaggistico. Altrettanto lo è dire che bisogna insistere nei settori deve siamo forti: Moda, enogastronomia, macchine utensili, automazioni industriali, grandi opere di ingegneria. Ma oggi, da qualche parte, nel mondo, dovrebbe iniziare un movimento molto più grande, più forte della rivoluzione industriale. Questa è avvenuta gradualmente, man mano che avanzava lo sviluppo tecnologico. Perché non iniziare questa rivoluzione pacifica dall’Italia? Per dare un forte segnale di riscossa. Oggi, più che mai c’è competizione tra i paesi. Addirittura, qualcuno vorrebbe dividere l’Italia in tre parti, per accentuarla. Su questa competizione speculano grandi capitali vaganti che cercano manodopera a basso costo e scarse tutele ambientali, ecc. Ma esistono anche capitali che pretendono delle garanzie e investono sul “Sistema Paese”. La Germania non paga interessi e attira molti più capitali dell’Italia che si dissangua per pagarli. Chi, per paura o convinzione morale, non è attirato dalla speculazione spregiudicata sceglie il “Sistema Paese”. Nessuno vuole perdere soldi come e successo in Argentina, come succederà in Grecia se sarà costretta a lasciare l’Europa. L’Italia, come la Grecia, la Spagna, il Portogallo, l’Irlanda, non è in condizione di attirare i capitali speculativi né quelli che richiedono garanzie. Non ha scelta, deve migliorare il “Sistema Paese”. Il settore trainante delle economie, diventa sempre di più quello pubblico che deve attirare anche gli investimenti privati. Non c’è scelta, lo Stato deve diventare imprenditore di se stesso. Non può continuare a nascondersi. Non può farlo sostenendo le attività private, come la produzione di automobili o elettrodomestici, di cui i mercati sono saturi. Deve farlo migliorando quello che è già di sua competenza e fa molto male. Oggi, tecnologicamente, siamo pronti per procedere all’industrializzazione della protezione dell’ambiente. Non possiamo più farne a meno, poiché l’inquinamento si è industrializzato mentre le difese ambientali sono rimaste a livello artigianale. Chi può difendere l’ambiente e la salute dei propri cittadini, se non lo Stato Sovrano?
Queste parole, possono sembrare strane, non conosciute nemmeno dagli addetti ai lavori. Costoro, vi posso assicurare, non hanno voluto conoscerle. Basta digitare su un motore di ricerca “depurazione globale” per vedere da quanto tempo ne parlo. Se, oggi parlo di industrializzazione della protezione dell’ambiente, non uso parole a caso, avendo trascorso quasi un ventennio nell’impiantistica industriale e altrettanti anni nell’impiantistica ambientale. Altri sei anni mi sono serviti per mettere insieme le due cose, rinunciando a occuparmi di altro, pur di arrivare a un risultato. Solo in questo modo ho potuto parlare di sistemi di protezione ambientale che non esistono attualmente. “La depurazione globale, l’energia protettiva dell’ambiente e la chiusura del ciclo del carbonio antropico”, sono tre facce della stessa medaglia, che gli addetti ai lavori dell’ambiente e dell’energia non hanno mai visto, a livello mondiale. Sfuggivano anche al sottoscritto fino a quando non è uscito dai sistemi depurativi tradizionali e non ha incominciato a tessere la trama della rete fognaria che catturerebbe anche il CO2. I passi successivi sono la conseguenza di un percorso diverso da quelli seguiti attualmente.
Non è stato semplice arrivare alla pulizia dell’energia, e all’energia che protegge l’ambiente. Questi argomenti, inspiegabilmente, ignorati degli addetti ai lavori pubblici e privati, tecnici e politici, che quasi mi pento di averci lavorato. Avrei potuto, tranquillamente, portate a casa, ancora qualche soldo, continuando a installare impianti, in giro per il mondo. Invece, ho voluto seguire il mio istinto creativo, frenato per troppi anni. Questi silenzi confermano che se non ci avessi provato, non se ne sarebbe mai parlato. La vera lotta al riscaldamento globale, a parole da tutti auspicata, non avrebbe mai visto la luce, nemmeno sulla carta. Non è detto che questa lotta inizierà. La verità, probabilmente, è che ho rotto le uova nel paniere. Stavano e stanno approntando altre soluzioni, più commerciali, come gli alberi artificiali e il C.C.S., lasciando le altre cose come stanno. Soprattutto, i due grandi problemi dell’acidificazione degli oceani e quello della disoccupazione mondiale. Sono costretto a pubblicare queste cose, che dovrebbero essere segreti industriali, perché c’è troppa ipocrisia nel mondo dell’ambiente e dell’energia, nei confronti di chi non ha una grande azienda alle spalle, o una progettazione pubblica di Stato, o, almeno di Regione, che si possa chiamare tale, interessata a recepire progetti di pubblica utilità. Probabilmente, se fossi stato un dipendente delle multinazionali o dello Stato/Regione, non mi avrebbero consentito di lavorare su questi argomenti. Non si tratta, di bloccare un’invenzione di un oggetto, sia pure importantissimo, come potrebbe essere la radio o la televisione, o il cellulare. E’ qualcosa di molto più grave. Si tratta di oscurare un modo di ragionare e progettare, semplice e lineare, al quale avremmo dovuto arrivare con la tecnologia di ieri, non quella di domani. Da che dipende questa cecità collettiva. Forse qualche filosofo sociologo del pensiero contemporaneo potrebbe provare a dare delle risposte. Probabilmente, nemmeno io, per il modo in cui porto avanti questa battaglia, uscirei indenne da una analisi psicologica. Ma, a modo mio, mi sono analizzato, e ho concluso che sono l’unico a non aver nulla da perdere. Non essendo nessuno, ho già dato più di quanto la società si aspettasse. Pungolando e stimolando gli addetti ai lavori, a difendere almeno il proprio operato, non posso che far bene. Sono loro che devono scegliere se rispondere o tacere. Gli elettori, anche se non sanno entrare nei dettagli tecnici, vogliono delle risposte quando si parla di ambiente e soprattutto, di lavoro.
Non sono fuori tema parlando di queste cose, in occasione delle elezioni politiche, non per dire chi dobbiamo e chi non dobbiamo votare, ma per dire la mia opinione tecnica sulle ragioni per le quali stiamo diventando tutti più poveri e i giovani non trovano lavoro, non solo in Italia, ma nell’intero Pianeta. La politica economica globale sta distruggendo la fonte dalla quale, fino a prova contraria, le generazioni future, dovranno attingere le risorse per la sopravvivenza, anche quando supereranno i nove miliardi. Le risorse che sottraiamo all’ambiente vanno a vantaggio di pochi e questi non restituiscono niente. Il principio di Lavoisier sulla conservazione dell’energia dice: nulla si crea tutto si trasforma. Questo principio non viene rispettato per arricchire poche persone. Il calore e il CO2 che non recuperiamo e non trasformiamo per produrre di nuovo energia, crea ingenti danni economici e ambientali. Se avessimo lavorato sulle infrastrutture adatte al recupero di queste risorse, non avremmo sprecato ogni anno, solo nelle acque che escono dalle centrali termiche, circa quindici miliardi di euro che, non solo, danneggiano l’ambiente, ma potrebbero servire ad abbassare il costo dell’energia prodotta. E il CO2, criminalizzato da tutti, servire a trasportare carbonati verso i mari, contribuendo esso stesso a produrre biomasse energetiche in ambienti controllati. Non critico gli errori, ma i silenzi collettivi della classe dirigente, pubblica e privata, di fronte a progetti alternativi, per risanare queste piaghe.
Chiudere correttamente il ciclo del carbonio non è uno scherzo. Occorre l’integrazione tra combustibili fossili e biologici, tra industria e ambiente, una diversa politica delle acque superficiali, che tuteli le falde dall’inquinamento e consenta il maggior trasporto di carbonati verso il mare, piani regolatori diversi e nuovi criteri di costruzione delle città, almeno dei nuovi quartieri. Modificare le strutture esistenti per consentire anche la depurazione dell’aria. Occorre la collaborazione di tutti. C’è un mercato immenso da sviluppare per chiudere questo ciclo, con opportunità occupazionali mai viste. Nuove attività e nuove aziende possono nascere in tutti i settori, dall’edile, alle infrastrutture, all’industria, agricoltura, automazioni industriali. Tutti potranno e dovranno concorrere nella corretta gestione dell’ambiente, realizzando opere durature, non fittizie, come quelle che, inevitabilmente, si continuerebbero a realizzare, se non si segue un modello di sviluppo, studiato nell’interesse comune. Si può fare a meno delle aziende che frenano questo sviluppo, essendo cresciute nella direzione opposta, concentrandosi, particolarmente, sulla commercializzazione di macchine per l’ambiente, che nella protezione globale non servono. Si può fare a meno anche di coloro che politicamente e tecnicamente hanno sostenuto queste politiche dominanti sbagliate, speriamo, in buona fede. Ma se continuano a tacere ancora, sarà da scartare questa ipotesi. Questi signori, non contenti delle condizioni in cui è ridotto l’ambiente, non vogliono creare le condizioni per chiudere il ciclo del carbonio antropico sulla terra, né combattere l’acidificazione oceanica, né creare le opportunità di lavoro che ne deriverebbero ma, semplicemente, continuare sulla stessa strada: catturare e nascondere, a nostre spese, nelle cavità terrestri il CO2, creando altri gravi pericoli per l’umanità. Per il sottoscritto i sistemi attuali sono i principali responsabili, non solo del riscaldamento globale, ma anche, dell’arricchimento di pochi, a scapito dei tanti e della disoccupazione dilagante.
Questa campagna elettorale, per puro caso, coincide con la fine dei miei lavori di “inventore ambientale”. Non inventerò e non proporrò più nulla, essendo arrivato molto oltre i modesti obiettivi che mi ero proposto. Ma mi batterò affinché il mio lavoro non vada sprecato e snobbato, come è avvenuto fino ad ora. Non credano i signori che hanno messo le mani sull’ambiente, che il sottoscritto, abbia commesso delle grandi ingenuità, depositando brevetti di pubblica utilità, che da solo non può portare avanti, rimettendoci, oltre al lavoro anche il denaro. Se non avessi depositato quelle domande, sarei stato il primo a non credere nel mio lavoro. Ho posto soltanto la prima pietra, per consentire a chi vuole far crescere questo Paese di intervenire, investendo in questi progetti. Gran parte dei miei depositi di brevetto, sono già carta straccia, dal punto di vista legale. Ma non dispero che qualcuno nel mondo li possa copiare. Sarà quello il compenso più grande al quale possa aspirare. Non importa se il mio lavoro, ugualmente, non sarà riconosciuto. Nel mio piccolo ho offerto una piccola possibilità di crescita al Paese ma chi aveva la grande responsabilità di recepire il messaggio non ha accettato nemmeno il confronto. Alla luce di queste esperienze, gli ultimi quattro brevetti, quelli che riguardano “L’energia protettiva dell’ambiente, che chiude correttamente il ciclo del carbonio” sono stati seguiti dalla pubblicazione di un libro, che per pura combinazione esce nel periodo elettorale. C’è tempo fino a alla fine di novembre 2013 per decidere se gli italiani vogliono rivendicare la primogenitura, nel mondo, di questo modello di sviluppo, rivendicandone, anche il diritto di esportazione. Sono queste le regole del gioco industriale. Se i sistemi che propongo fossero stati ideati all’estero i Paesi interessati, certamente, non li avrebbero snobbati. Non mi avrebbero costretto a sbandierarli ai quattro venti, per non far morire anche quello che verrebbe dietro. Far crescere, la società, tutelando l’ambiente, è possibile ma ci vuole il coraggio di considerare le esperienze passate come un periodo di apprendistato che deve essere superato. Questo vale in tutti i campi. Perché nell’ambiente e nell’energia si curano i dettagli e si rifiutano i grandi passi? Se avessimo pensato prima all’energia protettiva dell’ambiente a livello globale, non ci sarebbe stato Chernobyl, né Fukushima. Non si sarebbe sentito il bisogno di nucleare e nemmeno di energie che al massimo possono essere neutrali nei confronti dell’ambiente, ammesso che si riesca a smaltire in modo sostenibile i materiali costituenti i pannelli solari. Non avremmo nemmeno costruito grandi mostri ecologici, come a Brindisi e Porto Tolle. Anche l’Ilva Sarebbe diversa e non inquinante, perche il recupero del calore e dei fumi non riguarderebbe soltanto la centrali termoelettriche. Bisogna passare alle soluzioni definitive e globali della protezione dell’ambiente. Quelle senza gli effetti collaterali, che siamo stati costretti ad accettare, in nome del progresso e del benessere. Nella realtà, le progettazioni erano sbagliate. Invece, le insegnano ancora nelle Università di tutto il mondo, senza accennare, minimamente, alla protezione globale dell’ambiente. Il recente vertice di Doha ha confermato che anche ad altissimi livelli non si possono fare accordi senza discutere sui progetti. I nostri politici e tecnici politicizzati, che tacciono sulla depurazione globale, si riempiono la bocca quando parlano di raccolta differenziata e di riciclo della carta del vetro dell’olio, e via di seguito. Queste cose sono necessarie e indispensabili, ma bisogna passare dall’artigianato all’ industrializzazione della protezione dell’ambiente. Oggi dobbiamo riciclare anche quello che non si tocca con le mani, ma crea danni ancora maggiori, come i fumi e il calore. Non basta depurare, è necessario anche alcalinizzare. In alcune zone è necessario desalinizzare le acque salmastre per poter irrigare. Se non si passa al livello successivo, queste cose non si potranno fare. Sono le caste e i padroni ad avere in mano il potere delle sperimentazioni e le ricerche. Vorrebbero risolvere i problemi con soluzioni commerciali. Invece sono necessarie soprattutto infrastrutture che creerebbero grandissime opportunità di lavoro. Il 90% delle soluzioni che propongo non ha bisogno di sperimentazioni. Non cambiano i processi naturali. Aumentano soltanto i rendimenti industrializzando le capacità di trattamento. Sono soluzioni impiantistiche sfuggite agli addetti ai lavori. Tutto quello che sfugge come inquinamento dell’aria e dell’acqua e non si ricicla riscalda il Pianeta. Chi, conduce i dibattiti in televisione, in radio, interviste sui giornali, deve incalzare coloro che si propongono, senza idee, a guidare il Paese. Molti di questi signori sono economisti, altri sono ingegneri, medici, magistrati. Forse ci vorrebbero più progettisti, ma liberi di progettare con la propria testa e con il proprio cuore. Anche questi sono una merce rara. So per certo che molti, progettisti, condividerebbero le mie soluzioni, ma non possono esprimere la loro opinione, per non andare contro il sistema che li fa sopravvivere. Io stesso, che ero soltanto un tecnico installatore, ho potuto studiare soluzioni alternative soltanto da pensionato, e a mie spese. Mal comune mezzo gaudio? Personalmente, non ho mai goduto rendendomi conto che gli sprechi tecnici sono centinaia di volte superiori a quelli della politica. Non sono un tecnico pentito. Anzi, per i boiardi di stato, uno che all’apice della carriera ha guadagnato 2.000 euro al mese non è nemmeno un tecnico. Sarà per questo che non mi hanno mai risposto? La casta è casta. Va rispettata.
Casta, permettendo, “La chiusura del ciclo del carbonio antropico”, dimostrando che è possibile recuperare immense risorse sprecate, potrebbe sovvertire l’ordine costituito sulla distribuzione della ricchezza mondiale, costringendo a investire nel risanamento dell’ambiente, una grossa fetta di quello che oggi i produttori di energia si mettono in tasca come guadagno. Nessun politico ha voluto parlarne, ma possono ancora farlo. I silenzi hanno le gambe più lunghe delle bugie, ma prima o poi ugualmente vengono scoperti. In attesa che si decidano, pubblico un libro su “Youcanprint” nella versione più economica possibile, dove spiego tutto, anche i dettagli. Ho scelto questo tipo di pubblicazione, affinché, il libro. Sia pure, solo ON LINE, raggiunga anche l’estero. Se gli italiani, non credono a questi progetti e non pretendono che se ne parli, nessuno ne parlerà. In questa campana elettorale si continuerà a parlare di improbabili crescite affidate al caso, indipendenti dalla difesa del territorio, acque e aria. In tal caso, spero che da qualche parte del mondo, il mio lavoro sia apprezzato, anche se non sarò pagato. A questo, sono già rassegnato.