Terremoto Irpinia: solo corruzione e sprechi?

MeteoWeb

In molti ricordano ancora i tragici giorni successivi al terremoto, in cui si parlo di malaffare, sprechi e un susseguirsi di errori

Domani saranno 35 anni dal terremoto dell’Irpinia. Il 23 novembre 1980, infatti, un terribile evento scosse non solol’Irpinia, ma tutta l’Italia mostrando l’inefficienza dello Stato. Grazie a questo evento fu dato vita al dipartimento di protezione civile. Non solo, alcuni politici, protagonisti allora dei fatti conseguenti il sisma, vogliono ricordare gli esiti positivi raggiunti in quel periodo. Tra questi Giulio Di Donato, esponente del Psi, che all’epoca era vicesindaco di Napoli. Di Donato ci tiene a precisare l’ottimo ruolo, che i sindaci svolsero all’epoca; dimostrandosi perfettamente in grado di gestire la situazione. Furono proprio i sindaci delle zone colpiti a richiedere per la prima volta un decreto d’urgenza, trasformandosi in commissari sul territorio. “Inizio’ cosi’ la protezione civile – spiega – senza ne’ denari ne’ disponibilita’ di uomini e mezzi. Poi venne Zamberletti, un uomo simpatico e operativo, ma non aveva neanche un ufficio e inizio’ a lavorare con le autonomie locali”. Durante il terremoto, che causò la morte di 2.735 persone accertate, Di Donato era a Posilippo e racconta che “non ebbi percezione nemmeno del terremoto, ma mi chiamarono subito in comune. Perche’ la situazione era allarmante”.

terremoto Irpinia9A Napoli la situazione, per quanto ‘lieve’, fu allarmante. Infatti, 53 delle 2.735 erano napoletano, ed erano le famiglie che abitavano un fabbricato alto 44 metri, in via Stadera, nel quartiere di Poggioreale, che morirono a causa del crollo di questi. Nonostante, il lieve numero di vittime, si pose per Napoli una questione importantissima: l’emergenza abitativa. Infatti, vi erano 280 mila sfollati nella regione. “Sette anni prima avevamo avuto il colera, poi ci fu il terremoto e poi il bradisismo di Pozzuoli. Sono stati anni difficili, di cui occorre una lettura piu’ serena. Il comune di Napoli era assediato gia’ da chi chiedeva una casa. E quando, con l’ausilio di quelli – continua Di Donato – che allora erano il corrispettivo degli attuali presidenti di municipalita’ pensammo di stendere una lista degli edifici a rischio, ci trovammo di fronte a una situazione gravissima che mutava di giorno in giorno”.I problemi e le discussioni non sembravano mancare. La politica era divisa tra chi voleva ri-costruire, lì dove gli edifici erano crollati e chi, invece, voleva costruire in zone nuove ben collegate con le infrastrutture. “Ci fu un forte consociativismo fra Dc e Pci – spiega Di Donato – per queste scelte programmatiche, con il dissenso di alcuni ambienti di questi due partiti e di tutto il Psi. Prevalse la tesi della ricostruzione in citta'”. Mentre Napoli decise di riedificare cento mila vani in aree vincolate per l’edilizia popolare, furono approvati diversi decreti che ampliarono l’area di intervento. La legge 219/81 stabilì che erano necessari gli interventi in 687 comuni dichiarati interessati dal terremoto.

IrpiniaUn’altra legge dichiarò che i danni per l’edilizia privata corrispondevano a 29.634 miliardi, 12 mila miliardi per le opere pubbliche e 41.634 miliardi per altre infrastrutture. Molto di più di quanto era stato previsto quattro anni prima. Molte scuole napoletane furono occupate da sfollati e fu operato un sistema di sgombero delle aule occupate. Di Donato ricorda come “c’era persino chi aveva messo il proprio cognome sulla porta delle aule e non erano solo famiglie che avevano perduto la casa. Dovevamo andare alle 5-6 del mattino con i furgoncini e la polizia, perche’ molti si erano portati anche i mobili. Qualche volta i presidenti delle municipalita’ erano in grado di convincere le persone, altre volte no”. Di Donato ci tiene a ricordare gli esiti positivi di quegli episodi, insistendo su un mancato pericolo di infiltrazioni della camorra, ma di una continua e insistente violenza sociale, che complicava qualsiasi scelta. “Ma la ricostruzione non e’ stata solo mazzette. Ha permesso opere infrastrutturali che hanno segnato lo sviluppo del territorio, come l’asse mediano, il prolungamento della Domiziana, molte statali e provinciali nelle aree interne. Tenendo conto delle condizioni italiane dell’epoca e soprattutto del Mezzogiorno, nonche’ dell’inevitabile fenomeno dello spreco e della corruzione, nella mia valutazione alla fine il terremoto non e’ stato un esempio della peggiore gestione. Tutto sommato il grosso delle risorse ha prodotto risultati notevoli, le ripeto, infrastrutture e case. Si, magari in Irpinia fu sbagliato pensare di cogliere nel terremoto – conclude – un’occasione per avviare uan trasformazione industriale in un’area a prevalente vocazione agricola. Ma creare occasioni di lavoro e’ difficile anche quando e’ supportato da forti incentivi economici statali”.

Condividi