Inchiesta petrolio, Noe: a Viggiano avvenivano smaltimenti sospetti

MeteoWeb

A quanto pare al Centro Olii di Viggiano (Potenza) si buttavano dentro le vasche dell’acqua estratta col petrolio anche le sostanze usate per la lavorazione del gas. Sostanze che invece avrebbero dovuto essere smaltite a parte, e non essere reiniettate insieme all’acqua nel giacimento o smaltite con l’acqua a costi inferiori. In un anno, dal settembre 2013 al settembre 2014, l’Eni avrebbe risparmiato in questo modo dai 40 ai 100 milioni di euro. I carabinieri del Noe hanno ricostruito così stamani uno dei filoni dell’inchiesta della procura di Potenza sul petrolio, riferendo a palazzo San Macuto a Roma alla Commissione bicamerale sulle ecomafie. Il comandante nazionale del Noe, il generale Sergio Pascali, e il comandante del Nucleo di Potenza, il capitano Luigi Vaglio, hanno illustrato i tre filoni d’indagine: gli sforamenti delle emissioni in atmosfera, la reimmissione nel pozzo di Costa Molina 2 a Montemurro (Potenza) dell’acqua estratta col petrolio e lo smaltimento dei rifiuti liquidi in impianti di depurazione esterni, in particolare la Tecnoparco di Pisticci (Matera).

Ed è proprio da lì che è partita l’inchiesta sul petrolio lucano, grazie alle segnalazioni degli abitanti di Pisticci su miasmi provenienti dall’impianto. I carabinieri hanno accertato che l’odore nauseabondo si sentiva quando le autobotti scaricavano i reflui provenienti dal Centro Olii. Nell’impianto di Viggiano ci sono due vasche dove viene stoccata l’acqua estratta con il petrolio, destinata ad essere reiniettata nel giacimento. Facendo analizzare l’acqua, la procura ha scoperto che era mescolata con due sostanze usate per desolforare il metano estratto insieme al greggio, l’ammina e il glicole etilenico. Secondo gli inquirenti l’Eni, invece di smaltire in modo regolare queste sostanze, le “eliminava” insieme all’acqua in fondo al giacimento, e non solo inviandole a Costa Molina, che da sola non era in grado di ricevere tutta l’acqua, ma anche in altri impianti di depurazione del centrosud, dove veniva smaltita a basso costo, come ad esempio nei centri calabresi di Gioia Tauro (RC) e Bisignano (CS).

Altra irregolarità contestada dai carabinieri all’Eni e ai funzionari ambientali della Basilicata è quella che riguarda gli sforamenti dei limiti di legge per le emissioni in atmosfera del Centro Olii, con 208 sforamenti in un anno. I dirigenti del Centro (5 sono gli indagati) avevano l’obbligo di comunicarli entro 8 ore alla Regione Basilicata, ma di fatto riunivano più sforamenti in un’unica comunicazione, per evitare continui controlli che avrebbero bloccato l’impianto. Da parte degli enti pubblici d’altronde, ha detto il generale, c’era una “carenza di controllo“. Nel gennaio 2014 la Regione aveva mandato una diffida al Centro, dopo che l’impianto si era bloccato per un guasto e si era avuto quello che viene definito “evento torcia“, ovvero tutto il gas era stato brucitato da una torre per evitare esplosioni. Nel maggio seguente c’era stato un altro “evento torcia”, ma la Regione, nonostante fosse in corso la diffida, non aveva agito in alcun modo.

Condividi