Allarme spose bambine a Palermo: “Decine i casi, pochissime le denunce”

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Sono originarie del Bangladesh, del Pakistan, dell’India e dello Sri Lanka, hanno dai 13 ai 17 anni, ma sono nate e cresciute a Palermo. Improvvisamente spariscono dalle scuole per tornare nel rispettivo Paese d’origine e sposare un lontano parente, mai visto prima, se non raramente in foto, e non fare mai più ritorno in Italia.

L’allarme delle spose bambine, lanciato da una inchiesta, ha scosso le coscienze di molti e le testimonianze pervenute sull’argomento hanno svelato l’esistenza di un dramma taciuto da sempre. «Accade soprattutto fra le ragazzine bengalesi e rom– dice Enrica Salvioli, operatrice psico-pedagogica dell’Ufficio scolastico regionale-Accade soprattutto fra le ragazzine bengalesi e rom. Alcune trovano la forza di raccontare il loro dramma, altre tacciono. Di certo una strada da seguire è quella del dialogo con le loro famiglie. Le giovani migranti vivono molto questa sofferenza».

«Ci è capitato il caso di una sedicenne del Bangladesh — dice la vice preside di una scuola media del centro storico — destinata fin dalla nascita a uno zio di trenta anni più vecchio di lei. Si è confidata con noi e abbiamo cercato di aiutarla. Ma da un giorno all’altro è sparita, non abbiamo potuto fare altro che segnalare il fatto che non venisse più a scuola. Tante, purtroppo, si convincono che sia giusto quello che i genitori hanno scelto per loro».

Pare poi che ogni anno dalle scuole della  Vucciria, almeno un paio di alunne segnalino un matrimonio combinato. Urmi, 15 anni dello Sri Lanka, che ha vissuto per anni con la paura di dover lasciare Palermo per sposarsi. «Mio padre mi minacciava continuamente — racconta Urmi — Diceva che se mi avessero bocciata a scuola il matrimonio sarebbe stato anche anticipato. Mi ha sequestrato il cellulare e quando ha saputo che avevo una simpatia per un mio coetaneo palermitano mi ha chiuso in casa per settimane».

«Non è facile — dice Alessandra Notarbartolo del coordinatrice antiviolenza 21 Luglio — che queste ragazze si ribellino alle loro famiglie. Direi che è quasi impossibile. I casi che abbiamo seguito spesso non hanno avuto un lieto fine. Se la violenza contro le donne è sommersa, quella che coinvolge queste ragazze è sepolta. Denunciare per loro significa isolamento totale».

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