Terremoto Marsica, prosegue lo sciame sismico: “siamo impreparati a far fronte a ciò che può succedere”

Nell'area della Marsica, storicamente, si sono verificati eventi sismici disastrosi e secondo l'esperto non è escluso che possa succedere nel breve periodo
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Dal punto di vista sismico e geologico in effetti non sono stati eventi particolarmente anomali, e si inquadrano perfettamente nel contesto delle strutture tettoniche regionali che con il loro andamento NW-SE seguono l’allungamento della catena appenninica dalle Apuane alla Calabria. E’ quanto scrive il geologo Antonio Moretti sulla propria pagina Facebook in riferimento al terremoto di magnitudo 4.4 che si è verificato nella Marsica lo scorso 7 novembre, e che continua a far registrare diverse repliche, con uno sciame sismico continuo in corso ormai da giorni.

Questo è confermato dal meccanismo focale o FPS (Fault Plane Solution) – precisa Moretti -, cioè quella specie di “pallone da spiaggia” (beach-ball) od “occhio di gatto” che vi compare quando sulla pagina del terremoto INGV cliccate sulla casella “meccanismo focale”: la porzione bianca centrale rappresenta la porzione “sprofondata” della palla, corrispondente nella realtà fisica alla porzione centrale delle vallate appenniniche delineate, come ben si sa, da sistemi coniugati di faglie. Gran parte delle “beach balls” sul margine tirrenico dell’Appennino hanno questa forma, mentre quelle sul versante adriatico viceversa hanno la porzione centrale scura e quelle laterali bianche, ad indicare la zona di compressione tra Appennino e crosta adriatica. In ultimo quelle a croce sono relative a movimenti laterali (trascorrenti) di due masse rocciose, come quelle del Gargano lungo la faglia di Mattinata.

Anche la profondità (14km), leggermente maggiore delle scosse caratteristiche dell’Appennino aquilano, è perfettamente compatibile con i terremoti appenninici – continua l’esperto -, a causa del progressivo approfondimento delle strutture tettoniche dal margine adriatico verso quello tirrenico conseguente al sottoscorrimento della crosta adriatica sotto la penisola. Non potendo al momento attuale fare previsioni sulla futura evoluzione di questa crisi sismica, la cosa migliore è certamente fare riferimento alla storia passata. A questo proposito, in linea generale possiamo osservare che i terremoti sul margine tirrenico sono meno frequenti rispetto a quelli sulla zona assiale dell’Appennino, ma spesso di grande energia, forse per la maggiore profondità delle strutture tettoniche (12-16 km).

Per quello che riguarda la Ciociaria, tra i maggiori terremoti possiamo ricordare il 1654 (Arpino–Isola del Liri) e, soprattutto, quello del 1349, conosciuto come terremoto di Atina, ma che in realtà ebbe effetti disastrosi che si estesero su gran parte dell’Italia centrale. Su quest’ultimo terremoto vale la pena di soffermarci un attimo per immaginare uno “scenario sismico” tutt’altro che impossibile in un futuro più o meno prossimo. In realtà si tratta di un terremoto molto problematico e relativamente poco conosciuto, ma senza dubbio tra gli eventi maggiori che abbiano mai colpito la nostra Penisola. In effetti le notizie di cui disponiamo sono piuttosto scarse e controverse date le condizioni dell’epoca (in Europa imperversava la guerra dei cent’anni, mentre la peste nera dilagava a più riprese nelle città italiane) ma fanno certamente pensare ad un evento catastrofico, forse articolato in più sorgenti distinte attivatesi con “effetto domino” a breve distanza temporale l’una dall’altra. Secondo il “Catalogo dei Forti Terremoti in Italia” (INGV – SGA) si ebbero almeno quattro aree epicentrali principali: Umbria-Viterbese, Aquilano-Reatino, Sulmona–Valle Peligna, Sorano e Ciociaria. Vi riporto testualmente quanto scritto al proposito dal Mercalli (1883):

Un fortissimo terremoto urtò Isernia la sera del 22 di gennaio, ed in seguito le scosse vi si ripeterono frequenti fino al 9 settembre. In questo giorno…. all’ora di Messa le scosse colpirono nel modo più violento l’Italia centrale, da Bologna a Napoli. In questa città rovinarono in parte alcune chiese; fu violentissimo ad Ascoli di Puglia ed a Sora, Monte Cassino rovinò intieramente: similmente Venafro, ove perirono 700 persone. Di S.Germano cadde principalmente la parte del piano della città, e patì molto meno la parte alta. Aquila rovinò quasi per intero: a Roma ne soffrì molto il Colosseo e il tempio della Pace, e cadde a terra la torre dei Conti. A nord, le scosse furono rovinose fino ad Orvieto, Pisa e Bologna. Il terremoto si sentì leggermente anche a Modena. …. Le scosse si ripeterono specialmente ad Aquila per otto giorni di seguito. Si spaccò il monte Alsa nel regno di Napoli. Le acque nel Bolognese restarono torbide per 12 giorni. Ed in generale anche nel regno di Napoli molte sorgenti scaturirono torbide alcune di color di sangue, ed altre disseccarono. […].”

Più dettagliato il Baratta pochi anni dopo (1901):

in Aquila sopravvenne un terremoto dei grandi e spaventevoli che si sentissero mai, che ruinò gran parte delle mura della città e tanti edifici di chiese, torri e casamenti, che per lo spavento del terremoto e la polvere elevata dalla rovina, era rimasto ciascun sbigottito. Si trovarono morte ottocento persone di ogni sorta… poche chiese rimasero in piedi…”. La quasi completa distruzione d’Aquila è ricordata da tutti gli storici, ed il Vittori … rilevò che essendo “ingombre le strade per i crollati edifici, riuscì faticoso agli addolorati consaguinei il ritrovare i cadaveri dei loro cari. Fuggirono tuttavia i più, non pensando che a lor salvezza, e per nove settimane rimasero fuori città, benché fosse incominciata la stagione invernale. E quando si pensò a sgombrare i cementi e i calcinacci, non bastando i cittadini dell’Aquila, si dovettero chiamare i contadini dei paesi limitrofi, di Amiterno e di Forcona. Le sole rovine della chiesa di S.Francesco, che furono trasportate a porta Leoni, e colà ammucchiate, finirono col chiuderne l’entrata: né si pensò più a riaprila….. anzi” aggiunge poi “in tale prostrazione d’animo erano caduti gli abitanti che stavano per abbandonare i ruderi e ridursi nelle ville del contado…” Questo terremoto non fu solo disastroso ad Aquila e suo contado, ma il monastero di Montecassino, secondo l’anomino cassinese, crollò dalle fondamenta e, trovandosi allora i fedeli e sacerdoti nella chiesa, molti perirono sotto alle macerie, e molti altri sotto quelle delle case. San Germano fu per metà distrutto specialmente nella parte posta in piano: tutte le terre della Badia furono rovinate eccettuato Fratte e S.Vittore. Patirono gravi danni il Castello di Valserano, Sora ed Atina: Venafro, secondo il Ciarlanti, fu quasi adeguato al suolo con 700 vittime; in Campobasso (A.Perrella: Effem. della Prov. di Molise, vol.1, pag.50) cadde il monastero di S.Maria di Fora, Lungi circa 3 km. dalla città (1) [Il Perrella lo mette però al 25 gennaio]; in Isernia furono distrutte, oltre la chiesa, le case e quasi tutti gli edifici di beneficenza; Venafro fu desolata (G.Cotugno: Mem. stor. ecc., pag.225, Napoli 1824); in Aversa rovinò la chiesa maggiore ed in Napoli cadde il campanile e la facciata del Duomo e gran parte di S.Giovanni a Maggiore: quivi produsse in oltre parecchie rovine meno notevoli. La azione distruttiva del terremoto si estese anche a S.Agata di Puglia – come ricorda l’Agnelli nella sua Cronaca (2a ed., pag.54, Sciacca 1869) – e ad Ascoli Satriano – come risulta dai documenti della Zecca citati dal Bonito. Roma non andò immune da anni giacché ne fu percosso il Colosseo ed il cosidetto tempio della Pace, ossia Basilica di Costantino: precipitò pure l’antichissima torre dei Conti, presso la piazza delle Carrette, ed anche quella delle Milizie; furon danneggiate le chiese di S.Paolo e di S.Giovanni Laterano. In Terni furono sentite pure le scosse: molte torri e case furono in Perugia abbattute e danni gravi ebbero a subire anche S.Sepolcro, Assisi, Spello e Spoleto. In Viterbo rovinarono diverse torri e case ed altri edifici presso la chiesa di S.Stefano e di S.Quirico, tantoché rimasero sotto le rovine quasi tutti gli abitanti di dette contrade ed una grande quantità di popolo che stava adunato nelle chiese per le sacre funzioni. Danni gravi apportò pure agli edifici di Orvieto”

Uno scenario apocalittico che, lo ripeto – avverte il geologo -, non è né impossibile né improbabile. Purtroppo le nostre strutture di protezione civile, pur con la migliore buona volontà, sono assolutamente impreparate per un evento di tali dimensioni che potrebbe coinvolgere milioni di persone. Si pensi solo cosa potrebbe succedere in città come Roma o Napoli se venissero colpite con la stessa intensità con la quale lo furono nel 1349. Frane ed altri dissesti del suolo bloccherebbero probabilmente le principali vie di comunicazione. Acquedotti, linee elettriche, telefoni ed approvvigionamenti alimentari potrebbero venire interrotti. Nel migliore dei casi potrebbero passare ore, forse giorni, forse più prima che la macchina dei soccorsi raggiunga le aree più colpite.

In un tale scenario è necessario che ciascuno sia in grado di provvedere alla propria sicurezza ed alla propria sopravvivenza nell’attesa che la società civile abbia il tempo di riorganizzarsi, conclude il professor Moretti.

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