“Noi adesso stiamo dando peso alle varianti del coronavirus Sars-CoV-2, che in realtà ci sono sempre state. Mentre nella prima fase c’erano i ‘sacerdoti’ del virus che non cambia, ora va di moda dire che ci sono le varianti. Mettiamoci d’accordo: il virus cambia o no? Premesso che l’unica priorità adesso è vaccinare il più speditamente possibile, se vogliamo parlare di varianti occorre che vengano studiate in modo serio e completo e che si mettano in campo la rete di laboratori e i finanziamenti per farlo”. Così Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’ospedale San Raffaele di Milano e docente nello stesso ateneo, intervistato dall’Adnkronos Salute. “Sequenziare non basta – spiega l’esperto – Occorre isolare il virus quando si identifica qualche variante di rilievo epidemiologico e verificare se nel siero dei vaccinati ci sono anticorpi che neutralizzano anche la variante di turno. Ma è un’attività che costa. Lo possono fare bene le virologie, i centri attrezzati con laboratori di un certo tipo e con parametri di sicurezza Bsl3. Ma serve anche che venga finanziato un network nazionale composto sia di laboratori che fanno molte sequenze sia di lavoratori che i virus variati li studiano per le loro caratteristiche biologiche. Io nei giorni scorsi, quando si è acceso il dibattito sulla variante inglese, ho fatto notare che le conclusioni venivano tratte solo sulla base delle sequenze e questo l’ho trovato scientificamente scorretto“.
Sempre in riferimento alla variante Gb e alla sua possibile circolazione in Italia, Clementi riferisce: “Anche noi nel laboratorio del San Raffaele l’abbiamo cercata, sia su alcuni pazienti italiani che su persone italiane e inglesi di ritorno dall’Inghilterra, ma non l’abbiamo mai rilevata. Questo può essere un caso, anche perché non facciamo una ricerca sistematica delle varianti e in generale in Italia abbiamo messo in piedi una rete che al momento è quasi volontaristica e dovrebbe essere appunto istituzionalizzata e finanziata, come succede in Gb”.
Per far capire cosa a suo avviso si dovrebbe fare per avere un quadro completo sulle varianti e in generale sul virus e la sua evoluzione nel tempo, Clementi cita invece uno studio, disponibile in questo momento nella versione preprint (sulla piattaforma Biorxiv), che si è concentrato proprio sulle varianti a rapida diffusione che si sono manifestate in Regno Unito e Sudafrica e condividono una mutazione simile nella proteina Spike del virus (N501Y). Gli esperti hanno preso i sieri di 20 partecipanti a uno studio precedente sul vaccino ant-Covid di Pfizer/BioNTech e hanno condotto un esperimento per appurare che avevano anticorpi neutralizzanti equivalenti e verificare che non c’è riduzione dell’attività di neutralizzazione. “Una prima notizia rassicurante – commenta il virologo – Questo tipo di attività è seria e utile, quando c’è un cambiamento di rilievo nel virus. Perché di varianti ce ne sono tantissime, le abbiamo individuate anche in Italia, sia a Brescia il gruppo di Arnaldo Caruso che noi ad esempio. Ci sono mutazioni che compaiono in numerose zone del genoma e poi scompaiono, cioè non si fissano nella popolazione reale, non conferiscono al virus nessun vantaggio. Alcune invece qualche vantaggio glielo danno, per esempio quello di replicare di più e diffondersi meglio. E allora in questo caso la questione importante è sapere se gli attuali vaccini conferiscono ugualmente immunità. Fermo restando che vaccinare il più possibile è l’unica cosa da fare ora, a maggior ragione se – come sembra dallo studio – il vaccino ci copre anche da queste varianti”. “Facciamocene una ragione, dunque, se gira un virus diverso – conclude Clementi – e pensiamo a vaccinare velocemente. Perché, visto che siamo anche soliti fare tanti raffronti, non possiamo non notare che l’Italia ha vaccinato al momento circa lo 0,6% della popolazione e Israele già il 20%. Bisogna vaccinare di più e avere più vaccini e vaccinatori. La via maestra rimane quella”.