10 febbraio, Giorno del ricordo: la ricorrenza che troppi vogliono negare, le foibe e la vendetta comunista

Giorno del ricordo, le foibe: perché c’è ancora chi le nega e i libri di scuola ne parlano superficialmente?
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Cosa siano state le foibe non è semplice spiegarlo. O meglio, lo sarebbe se non fosse che nel corso degli anni le supposizioni e le illazioni in merito sono state così tante da aver offuscato e messo in secondo piano quella che è semplicemente e linearmente la verità. Ma partiamo con ordine e iniziamo dal significato più concreto del termine ‘foibe’: si tratta di cavità naturali presenti sul Carso. Il nome deriva da un termine dialettale giuliano, che a sua volta deriva dal latino fovea, ovvero fossa o cava.

In due precisi momenti del Novecento le foibe diventarono luogo di morte, cavità tetre e spettrali. Accadde durante la Seconda guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra: le foibe divennero teatro di vere e proprie esecuzioni di massa, quando i partigiani comunisti del maresciallo Tito vi gettarono migliaia di persone, accusate semplicemente di essere italiani, fascisti e contrari al regime comunista. Si tratta di omicidi di una crudeltà tale da essere paragonabili solo allo scempio perpetrato dai nazisti sugli ebrei e su tutte le vittime dei campi di sterminio. I condannati a morte venivano legati l’uno all’altro con un lungo fil di ferro stretto intorno ai polsi. Dopo essere stati schierati sugli argini delle foibe, venivano  uccisi a colpi di mitra. Ma non bastava. Chi sparava non apriva il fuoco su tutto il gruppo, ma solo sui primi tre o quattro della catena; questi, precipitando ormai senza vita nelle foibe, trascinavano con sé gli altri condannati ai quali erano stati legati. Alcuni sopravvivevano per giorni, tra atroci sofferenze e con accanto i cadaveri degli altri che avevano avuto la medesima e straziante sorte.

Foto di Paolo Salmoirago / Ansa

L’eccidio della foibe, come dicevamo, si ripeté per ben due volte, con dinamiche e modalità diverse: dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, quando riguardò principalmente l’Istria, e poi di nuovo con la presa di potere da parte dei partigiani e dell’Esercito Popolare Jugoslavo nel maggio del 1945. Nel ’43 in Istria e in Dalmazia i partigiani jugoslavi di Tito si vendicarono dei fascisti che tra la prima e la seconda guerra mondiale avevano dominato in quei territori con durezza e violenza, imponendo un’italianizzazione forzata e sottomettendo le popolazioni slave locali.

Accadde dunque quello che da secoli, nel corso della Storia, è accaduto in tutto il mondo: dopo il crollo del regime, i buoni diventarono cattivi, perché l’essere umano è così. Soffre e poi, quando ne ha la possibilità, infligge le medesime sofferenze ad altri. Tutti gli italiani non comunisti vennero considerati nemici del popolo: dovevano quindi essere prima torturati e poi gettati nelle foibe. In questa prima fase morirono circa mille persone, e furono poco rispetto a ciò che accadde dopo. Con la primavera del 1945  la violenza delle foibe raggiunse il proprio apice: verso la fine della guerra l’esercito jugoslavo occupò Trieste, riconquistando i territori che dopo il primo conflitto mondiale erano stati negati alla Jugoslavia. In soli due mesi migliaia di italiani che risiedevano tra Istria, Fiume e Dalmazia furono costretti a lasciare la loro terra. E questi furono i più fortunati. Altri vennero barbaramente uccisi dai partigiani di Tito, con due tecniche di sterminio crudeli e disumane: o venivano gettati nelle foibe o deportati nei campi sloveni e croati. Carabinieri, poliziotti e agenti della guardia di finanza furono tra i primi ad essere infoibati. Ma la stessa sorte fu destinata a normali cittadini, a volte scelti dagli assassini comunisti per motivi personali, o anche ai partigiani che non accettavano l’invasione jugoslava.

Quel che è verto è che ancora oggi non si sa con precisione quante furono le vittime delle foibe: alcune fonti parlano di quattro o seimila mila morti; altre di diecimila; altre ancora calcola il numero totale di vittime in 20mila persone. Averne un’idea certa è impossibile a causa del fatto che nell’immediato dopoguerra il caos regnò sovrano, e soprattutto perché la paura che il Fascismo potesse tornare fece sì che questi scempi perpetrati dalla parte politica opposta, fossero insabbiati e lasciati cadere nel dimenticatoio; il tutto giustificato da un sentimento anti-fascista che in alcuni casi divenne però odio e violenza esattamente come quelli messi in atto dalle camicie nere. La crudeltà delle foibe ebbe termine con la firma del trattato di pace di Parigi il 10 febbraio 1947. Gli esuli emigrarono in varie parti del mondo: Sud America, Australia, Canada, Stati Uniti. Ma molti si stabilirono nel nord Italia.

Il giorno del ricordo

Ci volle il 2004 perché il Parlamento italiano approvasse la “legge Menia” con la quale si istituiva il Giorno del Ricordo, da celebrarsi il 10 febbraio. Ma per anni i libri di scuola non hanno fatto riferimento a questi terribili fatti e ancora oggi i negazionisti sono numerosi. Si tende a minimizzare quanto accaduto, come se tutto si possa giustificare con una sorta di giusta vendetta fai-da-te. Eliminare le foibe dai libri di scuola è stato possibile solo per alcuni decenni, fortunatamente, ma ancora oggi lo spazio ad esse dedicato è nettamente inferiore a quello dedicato agli altrettanto crudeli campi di sterminio nazisti.

Ciò che si è sbagliato per anni, e che si continua a sbagliare, è il voler far credere che ci sia una parte buona e una cattiva; che ci sia chi ha ragioni valide per uccidere e chi no; che ci sia differenza tra chi uccide prima e chi dopo. Gli estremismi sono sempre dannosi e potenzialmente pericolosi. E la politica dell’insabbiamento è utile solo a far sì che la storia si ripeta, anche quando si tratta di quella sbagliata. Campi di sterminio e foibe sono solo due delle centinaia di espressioni della crudeltà umana.

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