Venerdì a San Gregorio Magno, nel Salernitano, è stata un’autentica alluvione. Dati e immagini

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Figura 1: Inquadramento geoambientale dell’area interessata dai fenomeni alluvionali rapidi del 7 ottobre 2011.

Tra le ore 19 e le 24 di venerdì scorso, il 7 ottobre, la parte occidentale del territorio comunale di San Gregorio Magno è stata interessata da alcune colate detritiche e detritico-fangose che hanno invaso l’area pedemontana dove si trova l’agglomerato di Teglia (figura 1).
I flussi rapidi si sono incanalati nel Vallone Matruro e nel Vallone Vadurso che hanno un bacino imbrifero che interessa il rilievo di Monte Paratiello-Monte Ogna con spartiacque intorno ai 1200 metri di quota. La zona pedemontana antropizzata si trova allo sbocco dei valloni tra le quote comprese tra 550 e 500 m circa.

L’area pedemontana si trova al raccordo tra i ripidi versanti impostati su rocce carbonatiche molto fratturate di età mesozoica con una locale copertura di sedimenti sabbioso-argillosi di età pliocenica e sedimenti prevalentemente vulcanici che colmano varie depressioni morfostrutturali. Sui versanti si rinvengono diffusamente detriti calcarei sciolti e uno spessore esiguo e discontinuo di suolo (derivante da sedimenti piroclastici) che consente lo sviluppo della vegetazione erbacea, arbustiva ed arborea. L’area montana si presta alle attività pastorali e agricole per cui è molto frequentata; diverse strade anche asfaltate consentono l’accesso alle aree coltivate e ai pascoli. Negli ultimi anni sulle creste dei rilievi sono stati realizzati vari impianti eolici per la cui costruzione sono state aperte nuove strade non asfaltate. Una carenza generale delle vie di penetrazione sulla montagna è rappresentata dalla mancanza di una adeguata raccolta e smaltimento delle acque di ruscellamento superficiale.

Figura 2: L’area pedemontana di San Gregorio Magno interessata dall’alluvione del 7 ottobre scorso e dai progetti di messa in sicurezza (in minima parte realizzati) elaborati fin dal 2003.

Nella zona pedemontana dei valloni (figura 2) è stata realizzata una sistemazione idraulica solo lungo un tratto del Vallone Vadurso (alveo dimensionato per una portata massima di oltre 50 mc/sec) che ha consentito di trasformare l’alveo-strada in un alveo protetto e regimato mentre la via è stata realizzata fuori alveo. L’intervento di messa in sicurezza del vallone prevedeva la sistemazione anche dell’asta montana al fine di trattenere i detriti; per evitare che le acque e i detriti del Vallone Matruro invadessero l’abitato di Teglia (come è accaduto il 7 ottobre scorso) era stata progettata (nel 2003) la realizzazione di un nuovo alveo che collegasse lo sbocco del vallone con l’alveo del Vadurso. Quest’ultimo progetto non è stato finanziato.

Se fossero stati realizzati i progetti presentati alla Regione Campania per il finanziamento nel 2003 gli effetti dell’evento alluvionale sarebbero stati certamente molto mitigati specialmente nella zona abitata e antropizzata di Teglia che è stata invasa dai flussi fangoso-detritici provenienti dal Vallone Matruro che era senza recapito adeguato a smaltire flussi di portata superiore a qualche mc/sec.

Il volume dei detriti complessivamente è stato stimato preliminarmente intorno ai 30.000 mc. Le portate massime dei flussi sono state valutate tra alcune decine e oltre 50 mc/sec. Lungo il Vallone Matruro si sono incanalati almeno tre flussi principali tra le ore 19 e 24 circa; lungo il Vadurso si sono incanalati due flussi principali tra le ore 20 e 24 circa. L’evento piovoso, a giudicare dagli effetti al suolo, ha interessato principalmente l’area montana (tra 1 1000 e 1200m circa di altitudine) e marginalmente l’area abitata ubicata tra i 450 e 550 metri di quota. I valori delle precipitazioni registrati nell’area abitata non sono riferibili alle piogge che hanno interessato l’area montana. In base agli effetti ambientali sembra che l’evento piovoso verificatosi tra le 18 e le 24 circa del 7 ottobre sia correlabile con quello che interessò Atrani nel settembre 2010 (intorno a 150 mm).

Figura 3: Località Melizza, parte nordorientale del bacino del Vallone Vadurso dove si innescato un potente flusso detritico alimentato dai versanti interessati dalla costruzione di strade non asfaltate.

I flussi detritici che hanno invaso Teglia hanno provocato i danni principali; essi non erano più incanalati (come invece accadde ad Atrani) in quanto allo sbocco nella zona pedemontana si erano distribuiti sull’antica conoide scorrendo sulla superficie del suolo con un’altezza variabile da qualche decina di cm a circa 1 m in relazione alla morfologia del terreno e alla presenza di manufatti, scavi antropici ecc., che hanno causato locali accumuli di detriti.

I rilievi eseguiti il giorno 8 ottobre lungo i versanti hanno consentito di verificare che la pioggia precipitata nelle parti in cui affiora la roccia carbonatica fratturata si è infiltrata nel sottosuolo e non ha dato origine a deflusso superficiale come solitamente accade sui rilievi carbonatici della Campania (figura 3).

Le parti di territorio che hanno dato origine a deflusso superficiale sono rappresentate dalle strade asfaltate e non; altre aree di deflusso consistente corrispondono alle zone di affioramento di sedimenti poco permeabili quali le superfici coltivate in corrispondenza dei terreni argillosi pliocenici e le superfici dei pianori colmati da sedimenti di origine piroclastica. Si sottolinea che queste aree causano ruscellamento superficiale consistente solo in occasione di eventi piovosi particolarmente intensi.

Figura 4: Esempio di inadeguata realizzazione di strade che hanno causato il potente flusso detritico di località Melizza.

Dagli effetti si deduce che l’evento piovoso deve avere avuto vari picchi di intensità tali da causare un generalizzato deflusso superficiale con conseguente erosione di sedimenti fini e detriti calcarei che concentrandosi negli alvei ha originato i flussi detritici che hanno invaso ripetutamente l’area pedemontana inglobando enormi volumi di detriti presenti lungo i valloni.

I rilievi documentati da foto hanno evidenziato un aspetto di particolare importanza per la sicurezza ambientale circa gli interventi antropici lungo versanti particolarmente sensibili alle modificazioni morfologiche dei millenari equilibri superficiali (figura 4).

Sulla zona di cresta della parte nordorientale del bacino del Vallone Vadurso, in località Melizza (figure 3 e 4), è possibile verificare che si è innescato un potente flusso detritico rapido solo in un vallone a valle di nuove strade (realizzate dopo il 2006 per la costruzione di numerose impianti eolici) non asfaltate e senza adeguate canalizzazioni per la raccolta e smaltimento delle acque di ruscellamento. Durante l’evento piovoso lungo tutte le nuove strade si è innescato deflusso superficiale che ha causato il trasporto di ingenti volumi di detriti che si è riversato a valle lungo il versante in numerosi punti concentrandosi nell’asta valliva. In tal modo si è alimentato un flusso detritico (portata massima stimata di alcune decine di mc/sec) che ha percorso il vallone fino ad immettersi nell’alveo principale del Vallone Vadurso. Lungo il tragitto il flusso ha distrutto una strada e depositato un significativo volume di detriti calcarei (figura 5). I valloni adiacenti che drenano versanti lungo i quali non sono state realizzate nuove strade non sono stati interessati da deflussi significativi (qualche decina di l/sec)( figure 3 e 4).

Figura 5: Strada distrutta dal flusso detritico originatosi solo nel vallone che drena la località Melizza.

In località Piano di Melizza è possibile osservare che il deflusso proveniente dalle nuove strade ha dato origine ad un laghetto provvisorio in corrispondenza di una strada che ha funzionato da diga. L’acqua è tracimata e si è incanalata, come lungo uno scarico di superficie, lungo la strada in discesa causando una evidente erosione di detriti calcarei (figura 4). Tale situazione richiede una adeguata messa in sicurezza.

Gli effetti devastanti dei flussi detritici nella zona pedemontana abitata e antropizzata sono correlabili con quelli causati da altri eventi simili. Non si sono verificate distruzioni di edifici perché i flussi detritici che hanno devastato Teglia non erano più canalizzati ma distribuiti sulla superficie del suolo. Le sistemazioni idrauliche eseguite lungo il tratto terminale del Vallone Vadurso hanno evitato una devastante esondazione consentendo lo smaltimento dei detriti fino a valle del tratto regimato.

Cosa fare?

E’ noto a tutti che gli investimenti pubblici per la sicurezza ambientale e dei cittadini non hanno mai rappresentato una pressante esigenza per gli amministratori locali e nazionali; nell’attuale periodo sembra molto difficile che si possa avere una inversione di tendenza. Il progetto elaborato nel 2003 contiene le soluzioni per garantire la sicurezza della zona pedemontana: deve solo essere realizzato completamente, con necessarie integrazioni per riparare i guasti causati dall’evento del 7 ottobre 2011.

Come si è visto ancora una volta, i valloni rappresentano le canne di fucile lungo le quali si incanalano i flussi detritici rapidi. I proiettili vendono inseriti nelle zone montane. Ribadiamo che solo eventi piovosi eccezionali possono innescare fenomeni simili a quelli del 7 ottobre scorso. Però non è la prima volta che un evento simile avviene nella zona di Teglia. Si hanno documentazioni di eventi simili all’inizio del 1900 e certamente in epoca storica dal momento che, nella zona, vari manufatti del periodo romano si trovano sepolti da alcuni metri di sedimenti.

Nella zona montana devono essere consolidati adeguatamente (con interventi ispirati alla ingegneria naturalistica che abbiano una funzione strutturale e di abbellimento delle aree di grande pregio naturalistico ed ambientale circostanti) gli emissari dei pianori per evitare che il deflusso superficiale inneschi una devastante erosione regressiva e la conseguente mobilitazione di ingenti volumi di sedimenti. Le strade distrutte devono essere ricostruite per non danneggiare l’economia connessa alla montagna adottando interventi di raccolta e incanalamento delle acque di ruscellamento. Anche le nuove strade che hanno innescato consistenti deflussi superficiali vanno adeguatamente dotate di opere di raccolta e smaltimento oculato delle acque di ruscellamento. La realizzazione di adeguate e sicure strutture di laminazione delle piene in corrispondenza delle zone che determinano ruscellamento superficiale e di robuste ed efficaci strutture atte a trattenere e catturare gli ingenti volumi di detriti calcarei che si possono mobilizzare lungo gli alvei completerebbero la messa in sicurezza dell’area.

Un sistema di monitoraggio in tempo reale degli eventi piovosi in quota e dei deflussi negli alvei consentirebbe di percepire l’entità dei prossimi eventi piovosi e di attivare piani di protezione civile adeguatamente e prontamente predisposti e sperimentati con esercitazioni ripetute.

L’area montana devastata dall’evento alluvionale non deve essere abbandonata per evitare un aggravamento dei dissesti e l’incremento dei pericoli della zona abitata e antropizzata a valle.

Naturalmente non è solo quest’area che deve essere messa in sicurezza. Ve ne sono molte altre in Campania. poche aree abitate prevalentemente devastate dagli eventi franosi rapidi del 1998 e 1999 rimane una chimera. Abbiamo sempre sostenuto che la messa in sicurezza è molto costosa e conseguentemente non si realizzerà preventivamente. Un intervento necessario che deve essere reso obbligatorio, pena lo scioglimento delle amministrazioni, è rappresentato dai piani di protezione civile. La predisposizione di piani di protezione civile, per mettere in salvo i cittadini dagli eventi franosi rapidi, è l’unica azione attuabile con limitata spesa e in temi molto brevi. E’ strano che ancora i “responsabili” non lo abbiano capito: un esempio negativo eclatante è costituito da Atrani che dopo 13 mesi dal disastro del settembre 2010 non è ancora dotato di piano di protezione civile!

Nell’area di San Gregorio Magno si deve finalmente verificare una “rivoluzione” positiva: il Dipartimento universitario diretto dallo scrivente è a disposizione per avviare un nuovo corso mettendosi istituzionalmente e gratuitamente a disposizione per collaborare alla progettazione e sperimentazione di attività tese a garantire prima di tutto la sicurezza dei cittadini, la valorizzazione e la sicurezza delle risorse ambientali montane nel rispetto delle eccezionali prerogative ambientali della zona. L’area devastata dall’evento del 7 ottobre scorso deve offrire una concreta e valida occasione per l’attuazione di interventi diversificati e condivisi tesi ad evitare la rapina delle risorse ambientali e la conseguente creazione di ulteriori pericoli. La realizzazione di strade che tagliano i versanti fino alla cresta, senza adeguate, efficaci ed obbligatorie canalette per la raccolta e smaltimento delle acque superficiali rappresentano un attentato alla stabilità geomorfologica della montagna e una attentato alla sicurezza dell’ambiente antropizzato e dei cittadini della sottostante zona pedemontana.

Lo scrivente e altri suoi colleghi esperti sono a disposizione, istituzionale e gratuita, delle competenti autorità per l’osservazione, rilevamento e comprensione di quanto accaduto in montagna, lungo gli alvei e nella zona pedemontana al fine di avviare azioni idonee a non sprecare denaro pubblico e a garantire la realizzazione di validi interventi. E’ vero che altre figure professionali stanno intervenendo (afferenti all’Autorità di Bacino, all’Arcadis, Protezione Civile ecc.); non si tratta di proporre dei doppioni ma tutti sono in grado di vedere, non tutti sono in grado di capire correttamente e di proporre rapide ed efficaci azioni tese esclusivamente alla sicurezza ambientale e dei cittadini. Le poche risorse finanziarie pubbliche devono fruttare il massimo di sicurezza. Naturalmente senza alcun riferimento a quanto accaduto nell’area sarnese dove ancora nessun centro abitato oggetto di interventi di così detta “messa in sicurezza”, dopo le disastrose colate rapide di fango del 1998, è stato dichiarato “fuori pericolo”, nonostante le varie centinaia di milioni di euro spesi.

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