Emergenza siccità: nelle campagne del centro/nord si riscoprono gli antichi riti contro la crisi idrica

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Chi pensa che l’emergenza siccità di questi giorni al centro/nord Italia sia un fenomeno storico senza precedenti negli ultimi secoli, si sbaglia. Lo dimostrano i dati meteorologici e anche le tradizioni contadine riportate oggi da Repubblica in un articolo realizzato da Jenner Meletti. Nell’articolo Lorenzo Zanon, sindaco di Trebaseleghe, un piccolo borgo rurale in provincia di Padova, racconta che “dovremmo procurarci dei rami di ontano. Una volta con un coltellino si toglieva la corteccia e appariva il legno bianco. E con questi rami si preparavano le croci, da mettere all’inizio di ogni campo. Servivano a tenere lontano la siccità, la grandine e ogni altro disastro. Quando ero bambino andavo con i suoi genitori alle “rogazioni”. Per tre giorni, alla mattina presto, si facevano le processioni. Si partiva da un pilastrino dedicato alla Madonna, si passava da un campo all’altro mettendo queste croci bianche, si arrivava a un altro capitello. Il prete in testa, con tutti i paramenti, le candele, i chierichetti… Si recitavano le litanie speciali. “A fulgure et tempestate libera nos Domine”. Signore, liberaci dai fulmini e dalla tempesta. E se le campagne erano secche, il vescovo invitava i preti ed i fedeli a una processione o a un pellegrinaggio “ad petendam pluviam”, per invocare al pioggia“.

Lo stesso sindaco, che nella vita fa l’insegnante di religione, spiega che “la siccità  è fra le dieci piaghe d’Egitto. Le preghiere per la pioggia sono sempre esistite. L’idea che Dio mandi l’acqua in risposta ai comportamenti umani è già nella Bibbia“, riprendendo l’appello del cardinale di Firenze, Giuseppe Betori, a “pregare per il dono della pioggia. “Se seguirai i miei comandamenti, ti manderò la pioggia”. Nell’antica Roma durante la cerimonia chiamata “aquilicium” matrone scalze e con i capelli sciolti salivano sul Campidoglio e facevano ruzzolare pietre, invocando Giove Pluvio e simulando il rumore del tuono. Gli Atzechi invocavano l’acqua sacrificando a Xipe Totec, “nostro Signore lo Scuoiato”, nemici e schiavi. Nella religione cristiana  –  dice ancora Lorenzo Zanon  –  il sacrificio è stato sostituito dalla preghiera. Già nel IV secolo il papa Liberio trasforma la cerimonia pagana in “invocazione delle precipitazioni. Ad petendam pluviam inizia in quei tempi“.

L’invocazione del sacro di fronte alle calamità  –  dice Roberto Roda, che guida il centro etnografico del Comune di Ferrara  –  è ancora presente. Si fanno processioni sugli argini e le statue dei Santi vengono messe con i piedi nell’acqua. Come dire: siete in prima linea, dovete proteggerci. Alla sacca di Goro Sant’Antonio da Padova, a giugno, viene messo su un palo in mezzo alla valle. Anche da noi contro grandine o siccità si mettevano le croci nei campi: ma erano fatte di canne e intrecciate con l’ulivo“.

A Farra d’Alpago il parroco don Lorenzo Sperti sta già organizzando una processione perché il cielo mandi la pioggia. “Forse non ci sarebbe bisogno  –  dice padre Renato Gaglianone, consigliere ecclesiastico della Coldiretti  –  di una preghiera specifica. Già nel “Padre Nostro” c’è l’invocazione giusta: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Senza la pioggia il grano non nasce e non cresce, senza il grano non si fa il pane”. Ma nel Messale c’è una “Colletta”  –  una preghiera che il sacerdote recita a nome di tutta la comunità di fedeli  –  che così invoca la grazia dal Cielo. “O Dio dal quale tutte le creature / ricevono energia, esistenza e vita / dona alla terra assetata / il refrigerio della pioggia / poiché l’umanità sicura del suo pane / possa ricercare con fiducia il bene dello Spirito“.

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