La Commissione nazionale “grandi rischi” e…i prossimi terremoti

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Nei giorni scorsi alcune dichiarazioni del presidente della Commissione hanno attirato l’attenzione e fatto discutere. Al fine di meglio inquadrare le dichiarazioni fatte vediamo cosa deve fare e quali sono i membri della commissione. Precisiamo che la Commissione Nazionale per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi è la struttura di collegamento tra il Servizio Nazionale della Protezione Civile e la comunità scientifica. La sua funzione principale è fornire pareri di carattere tecnico-scientifico su quesiti del Capo Dipartimento e dare indicazioni su come migliorare la capacita di valutazione, previsione e prevenzione dei diversi rischi.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore Berlusconi ha nominato lo scorso anno i componenti dell’Ufficio di Presidenza della Commissione nazionale per la previsione e prevenzione dei grandi rischi: l’on. Giuseppe Zamberletti, in qualità di Presidente Emerito; il prof. Luciano Maiani, Professore ordinario di Fisica Teorica, Università di Roma “La Sapienza” in qualità di Presidente; il prof. Mauro Rosi, ordinario di Vulcanologia dal 2002, in qualità di Vicepresidente.  Per il settore del rischio sismico sono stati nominati: il prof. Domenico Giardini – Ordinario di Sismologia e Geodinamica, Presidente INGV (centro di competenza), in qualità di referente; il prof. Stefano Aversa – Ordinario di Geotecnica – Università «Parthenope» di Napoli; la prof.ssa Giuseppina Lavecchia – Ordinaria di Geologia Strutturale – Università di Chieti; il prof. Gaetano Manfredi – Ordinario di Tecnica delle Costruzioni – Università «Federico II» di Napoli, Presidente ReLUIS (centro di competenza); l’ing. Luciano Marchetti – Esperto di tutela dei Beni Culturali, Vice Commissario per il recupero dei Beni Culturali Sisma Abruzzo; il prof. Claudio Modena – Ordinario di Tecnica delle Costruzioni -Università di Padova; il prof. Francesco Mulargia – Ordinario di Geofisica della Terra Solida – Università di Bologna; l’ing. Rui Pinho – Ricercatore Settore Rischio Sismico Eucentre (centro di competenza), Segretario Generale GEM; il prof. Silvio Seno – Ordinario di Geologia Strutturale – Università di Pavia; il prof. Aldo Zollo – Ordinario di Geofisica della Terra Solida – Università «Federico II» di Napoli; l’arch. Roberto Vinci – Dirigente di ricerca, Direttore ITC/ CNR.

Sui suppone che le dichiarazioni del presidente rispecchino i pareri dei vari componenti. Maiani ha chiarito che la corretta interpretazione del passaggio della nota della Commissione, che fa riferimento alla probabilità di una nuova attività sismica tra Finale Emilia e Ferrara, si riferisce al fatto che “nel caso di un’eventuale ripresa dell’ attività sismica, la probabilità che un terremoto possa colpire altrove non può essere esclusa. La prima probabilità – ha spiegato – è che l’attività sismica riprenda e la seconda é che, se l’attività dovesse riprendere, allora un evento importante potrebbe verificarsi nel punto più debole”.

In altre parole, non si può escludere che si possa verificare un nuovo sisma lungo le faglie sismogenetiche contigue a quelle che hanno originato gli eventi di fine maggio come non si può escludere che nuovi terremoti possano attivarsi lungo le altre faglie sismogenetiche che caratterizzano il territorio italiano. Le affermazioni della Commissione sono condivisibili: io stesso ho diffuso frasi simili. Non si tratta di fare allarmismo ma di stare collegati scientificamente e logicamente ai dati disponibili. La storia evidenzia che il territorio italiano è in gran parte continuamente sottoposto a deformazioni tettoniche che causano rotture crostali di diverso tipo e sismi di diversa magnitudo. Fortunatamente la struttura crostale italiana è molto frammentata per cui la riattivazione delle faglie sismogenetiche avviene solitamente lungo settori lunghi alcune decine di chilometri. Non abbiamo faglie sismogenetiche che si riattivino per centinaia di chilometri come accaduto in Indonesia nel e in Giappone lo scorso anno causando sismi di magnitudo eccezionale. Però è accaduto varie volte in passato che dopo un forte sisma si siano riattivati altri settori di faglie sismogenetiche contigue e vicine. Ricordiamo alcuni casi come accaduto nel 1456 nell’Italia meridionale quando in circa 30 giorni, tra l’Abruzzo e la Campania, si verificarono almeno tre sismi la cui valutazione macrosismica varia dal X al XI grado. Altri forti terremoti ravvicinati si ebbero in Calabria nel 1638 e nel 1783. Vi sono altri esempi di forti sismi verificatisi a qualche anno di distanza l’uno dall’altro. Le affermazioni della Commissione Grandi Rischi hanno fatto riferimento ad una reale situazione di imprevedibilità ma di possibilità che gli eventi sismici si possano verificare, prima o poi, lungo tutta la zona interessata da faglie sismogenetiche. Dal momento che i sismi non si possono prevedere e che comunque è impossibile evitare gli effetti locali in aree antropizzate ed urbane, meglio essere preparati con una edilizia antisismica.

E aggiungiamo noi: con una adeguata classificazione sismica; senza creare nuove infrastrutture che non possono sopportare significative ed istantanee  deformazioni del suolo in caso di sisma come nello Stretto di Messina; senza andare a stuzzicare le faglie sismogenetiche con operazioni “originali e incontrollate a diverse miglia di metri di profondità”;  adeguando le gallerie (ferroviarie e autostradali), oleodotti e metanodotti, di importanza strategica a sopportare le prevedibili deformazioni attraverso le strutture sismogenetiche appenniniche. Per essere pronti occorrono amministratori, a tutti i livelli, in grado di garantire sicurezza ai cittadini e alle attività produttive: devono richiedere agli scienziati, e non solo a pochi loro referenti, tutte le informazioni scientifiche in grado di adeguare la classificazione sismica e i manufatti e utili ad evitare nuovi interventi in zone eccessivamente a rischio e controllare ed eliminare operazioni incontrollate lungo faglie sismogenetiche.

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