Una delle più grandi catastrofi naturali del Novecento si sviluppa nel 1964 in Alaska dove un fortissimo terremoto genera diversi tsunami che sconvolgono non solo l’incontaminato territorio circostante ma anche le coste dell’America settentrionale. MeteoWeb, grazie alla collaborazione di Daniele Ingemi e Giampiero Petrucci, ricorda l’evento.
Il terremoto. Il 27 Marzo 1964, Venerdì Santo, alle 17.36 ora locale, un violentissimo terremoto, con una magnitudo momento di ben 9.2 Richter ed ipocentro a circa 25 km di profondità, sconvolge le coste dell’Alaska meridionale, mietendo innumerevoli danni e diverse vittime.

Imponenti frane e valanghe di grosse dimensioni si riversano lungo gli scoscesi declivi dell’altopiano interno. In totale, a causa del potente scuotimento, si sviluppano svariate decine di frane che cambiano per sempre la morfologia di quei territori. Intere montagne si frantumano in enormi nubi di polvere e detriti che si riversano sui fondovalle sottostanti, rendendo l’aria irrespirabile. Il ghiacciaio di Sherman è coperto da uno strato di detriti rocciosi per più di 7 kmq. Persino le ferrovie vengono dissestate, mentre molte strade risultano impraticabili. Nei giorni seguenti tutta l’Alaska meridionale è interessata da più di 300 eventi tellurici (detti aftershocks o scosse d’assestamento), alcuni anche con una magnitudo intorno o superiore a 6.0 Richter.
Solo negli anni successivi, studi più approfonditi, condotti da alcuni ricercatori statunitensi, hanno evidenziato la complessità dell’evento tellurico, con il coinvolgimento di diverse faglie. Dopo 72 secondi dalla prima scossa, vengono attivate almeno altre sei faglie, che prolungano il terremoto per altri 4 minuti, rendendolo insolitamente lungo. In pratica si rompe una linea di faglia di oltre 250 chilometri a sud-ovest dell’epicentro principale. Lo strappo della faglia principale è talmente rapido da estendersi, in pochi secondi, ai sistemi di faglia presenti a sud-ovest del Prince William Sound. Si pensa ad una serie di scosse interdipendenti, ripartite dall’epicentro fino all’isola di Kodiak, a sud-ovest, ed a Cordova, più ad est. Gli effetti diretti sul terreno sono notevoli.
Si stima che per oltre 260mila chilometri, e per più di 160 km a nord ed ovest del piano di faglia, il suolo sia sia abbassato, con valori di subsidenza compresi fra i 70-80 cm e i 2.2 metri. Ad est e a sud della faglia, invece, il fondo del mare si è sollevato di scatto, in media di 2-3 metri, con un valore massimo di sollevamento di oltre i 12 metri raggiunto a ridosso dell’isola di Montague: valori enormi e raramente riscontrati in altre circostanze analoghe. In tale contesto è stato scoperto pure che Anchorage si è “spostata” di circa 2 metri, rispetto alla sua posizione originaria. Ancora più sconvolgente lo spostamento di Valdez e Seward, rispettivamente di 10 e 14 metri verso il mare. Lungo una linea parallela alla faglia, generatrice del potente terremoto, dall’isola di Hinchinbrook fino alle isole Trinity, una estesa porzione del fondale oceanico si è sollevata di botto, di circa 14-15 metri. Nel 1972 gli studi sul megasisma del 1964 vennero completati da un dettagliato rapporto di oltre 4000 pagine della “National Academy of Sciences”: uno degli studi più completi mai effettuati su un evento sismico di tale intensità.
Canada e Stati Uniti. Sull’isola di Vancouver vengono colpite in particolare le cittadine situate in baie strette ed allungate dove la morfologia costiera provoca fenomeni di rifrazione delle onde e di risonanza, con meccanismi particolari di cui abbiamo già parlato in relazione ai meteotsunami. È il caso di Alberni e Port Alberni in cui la prima onda di tsunami non è la più violenta: pur allagando gran parte dell’area litoranea, non miete vittime ma mette in allarme la popolazione che fortunatamente si rifugia verso l’interno. La seconda ondata difatti è ben più forte della precedente e compie un’ampia devastazione. Molti villaggi dell’isola vedono i loro porti e la loro flotta peschereccia distrutti ma non si registrano vittime. Al contrario, in California ai danni si accompagna la perdita di vite umane. Nella cittadina di Newport Beach si segnalano quattro morti ma è Crescent City, al confine con l’Oregon, a subire le conseguenze peggiori. Quattro ondate colpiscono la città, dopo circa 4 ore dal sisma, con run-up stimati fino a 6 metri. In maniera anomala le onde più forti giungono per ultime, con la quarta ondata. Tutto è travolto: barche, edifici, automobili. Un deposito di carburante viene trascinato via e l’esplosione che ne consegue, provoca un incendio di vaste proporzioni. Le vie cittadine sono trasformate in fiumi d’acqua. Undici sono le vittime per quello che viene considerato, causa la batimetria dei fondali e la forma quadrangolare del suo porto, come uno degli agglomerati urbani più rischiosi di tutta la West Coast rispetto agli tsunami.
A seguito del terremoto infatti nel golfo si sviluppano frane, subaeree e sottomarine, che contribuiscono notevolmente ad aumentare la potenza devastante, incrementando quindi gli effetti dovuti al solo sisma. Inoltre la particolare conformazione costiera, caratterizzata anche da baie strette e lunghe, amplifica ulteriormente gli effetti. Dunque il Prince William Sound ha rappresentato in questo caso l’esaltazione dello sviluppo di uno tsunami, convogliando tutti i parametri atti all’amplificazione dei danni: un forte terremoto con epicentro in mare o nei pressi della costa come causa iniziale; grandi frane (sottomarine o subaeree) che muovono enormi masse d’acqua (sommando i loro effetti a quelli del sisma); batimetria dei fondali e morfologia costiera atte ad esaltare il fenomeno della risonanza e della rifrazione delle onde che praticamente rimangono come “chiuse” all’interno del golfo, andando avanti ed indietro più volte, colpendo dunque ripetutamente i litorali.
In particolare vengono identificati due distinti sistemi di onde, diversi per origine e posizione geografica, dunque più tsunami. Uno si sviluppa nella parte sud-occidentale del golfo, sull’isola di Chenega dove una sola ondata, con run-up fino a 27 metri, dovuta alla combinazione degli effetti di sisma e frane sottomarine, genera grande distruzione ed una ventina di vittime (la zona è poco urbanizzata), per poi disperdere la sua energia in mare aperto. L’altro sistema invece colpisce l’area più a nord del golfo, lo Stretto di Valdez, una baia allungata in direzione sud-ovest/nord-est. Qui lo scuotimento indotto dal terremoto provoca una frana subaerea di sedimenti non consolidati (soprattutto sabbie e limi), lunga circa un km e larga circa 200 metri, sui quali si sviluppa anche il fenomeno della liquefazione.
L’intero Prince William Sound è sconvolto: a Whittier, altra cittadina situata al termine di un fiordo, si sviluppano run-up di ben 31 metri che travolgono ferrovia, edifici e barche, provocando la morte di 13 persone. Situazione simile a Seward, nella penisola di Kenai: immediatamente dopo la scossa principale, un’altra frana subaerea provoca onde alte fino a 9 metri, con distruzione di ponti, ferrovia, treni, automobili ed una dozzina di vittime. Una ventina di minuti dopo, Seward viene colpita anche dalle onde originate dal terremoto, con run-up fino a 12 metri ed altra devastazione. In tutta l’Alaska, ed in particolare nel Prince William Sound, le vittime dovute agli tsunami sono maggiori di quelle legate al terremoto. In totale si registrano circa 130 morti, di cui un centinaio dovuti allo tsunami.
In definitiva, la grande catastrofe dell’Alaska nel 1964 dimostra una volta di più come se da un lato gli tsunami originati da un forte terremoto possono attraversare interi oceani (e dunque dare un tempo di preavviso, almeno per certi siti, utile alla salvaguardia dei cittadini grazie anche al sistema di allerta oggi presente nel Pacifico), le onde generate da eventi “locali”, in particolare frane subaeree (come a Scilla nel 1783) o sottomarine (Aitape 1998), colpiscono spesso senza lasciare scampo alla popolazione e producendo un maggior numero di vittime che non le scosse da cui sono originate. Ancora maggiori i rischi e le potenziali devastazioni se gli effetti delle onde legate ai sismi e quelle dovute ai movimenti franosi si combinano (come nello Stretto di Messina nel 1908).
BIBLIOGRAFIA
- Pararas-Carayannis G., A Study of the Source Mechanism of the Alaska Earthquake and Tsunami of March 27, 1964, Pacific Science, VOL. XXI, pp. 301-310, 1967
- www.wikipedia.org