Le tante facce dell’inverno: qual è la più gelida e nevosa?

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7cbf3c8487572331c9e5658f49ee4902_ondata_gelo_febbraio_1929Nell’ottica di un “freddofilo” convinto come chi vi scrive e come molti altri, sicuramente questo autunno, almeno per adesso, non solo ha deluso le aspettative di chi sperava in precoci ondate di freddo, ma ha addirittura mostrato un aspetto più tipico di una tarda estate, battendo purtroppo e ancora una volta record storici di temperatura, non soltanto in Italia ma anche in buona parte dell’Europa. Non avendo quindi finora vissuto brividi e bianchi scenari direttamente sulla nostra pelle, con l’attesa che, come si sa, aumenta il desiderio, cerchiamo di sperimentare almeno con la fantasia le configurazioni più favorevoli per una poderosa ondata di gelo sulla nostra penisola.

Fig.1 - Esempio di una configurazione favorevole alla discesa di aria polare marittima
Fig.1 – Esempio di una configurazione favorevole alla discesa di aria polare marittima

Diciamo subito che due sono le parole chiave, capaci di far guizzare sui divani sonnecchianti spettatori delle previsioni meteo e di far nascere in loro immacolati sogni invernali: l’aria polare e l’aria artica, ognuna delle quali può essere di natura marittima o continentale. In particolare l’aria polare marittima si origina nell’Atlantico settentrionale e nella regione del Canada; con un anticiclone delle Azzorre ben sviluppato in aperto oceano alle medie latitudini e con una depressione d’Islanda particolarmente energica, tale aria è in grado di sospingere fronti atlantici fin sull’Italia, determinando un severo guasto del tempo (stessa configurazione che ha provocato il marcato peggioramento lo scorso 4 Novembre); tuttavia il nocciolo freddo di questa configurazione resta generalmente relegato al comparto franco-britannico, dove si registra un calo più deciso delle temperature (Fig.1)

La variante continentale dell’aria polare, come sarebbe logico aspettarsi, è più secca e quindi più fredda poiché si origina sul continente; generalmente giunge sull’Italia nella stagione invernale scivolando lungo il bordo occidentale dell’anticiclone termico russo-siberiano. Il calo delle temperature risulta quindi più sensibile e marcato, tuttavia la fenomenologia associata è di gran lunga inferiore, a causa sia del basso contenuto di umidità che del ridotto spessore verticale della massa d’aria in esame, pari a circa 1,5 km, contro i 3-6 km della variante marittima. Le precipitazioni sono infatti limitate al medio-basso versante adriatico ed al basso Piemonte per effetto stau (sbarramento orografico).

Fig.2 - Il deciso affondo di aria artica marittima in Italia ed in Europa nel Febbraio 1986
Fig.2 – Il deciso affondo di aria artica marittima in Italia ed in Europa nel Febbraio 1986

Lo stesso ragionamento, in termini di estensione verticale, può essere fatto anche per l’aria artica, la cui variante marittima, raggiungendo anche i 3000-4000 m di spessore, è in grado di valicare catene montuose come Alpi e Pirenei. In presenza di un robusto anticiclone groenlandese e di un anticiclone delle Azzorre molto sviluppato lungo i meridiani, fin verso le latitudini polari, questa massa d’aria, che si origina sui mari dell’Artico,  è in grado di gettarsi nel Mediterraneo entrando attraverso la famigerata valle del Rodano (da cui il termine “rodonata” per indicare generalmente questo tipo di peggioramento). La genesi di un profondo ciclone mediterraneo è dunque inevitabile: se il minimo si forma sul mar Ligure (Genoa Low), a beneficiarne saranno soprattutto le regioni settentrionali, mentre se la depressione si approfondisce sul Golfo del Leone, anche le regioni del medio-alto versante tirrenico potrebbero vedere fenomeni nevosi a bassa quota se non in pianura, grazie alla formazione di una depressione tirrenica secondaria. Ciò è quanto successo nel Febbraio 1986, quando, grazie ad una ragguardevole isoterma di -20°C a 850 hPa tra Svizzera, Francia e Nord-Ovest italiano (Fig.2), anche la città di Roma vide una storica nevicata, che lasciò al suolo un manto bianco di ben 40 cm. Senza andare troppo indietro negli anni, nella stessa ottica va inquadrata l’intensa ondata di gelo e neve che avvolse di bianco buona parte del Centro-Nord italiano tra il 17-18 Dicembre 2010.

Fig.3 - Una foto della neve a Pisa in Piazza dei Miracoli l’11 febbraio 1929
Fig.3 – Una foto della neve a Pisa in Piazza dei Miracoli l’11 febbraio 1929

Ma se questo freddo non fosse sufficientemente gelido e voleste sentirvi come dei ghiaccioli nel freezer, niente paura, c’è ancora l’aria artica continentale in gioco. Come per la sua cugina polare, anche questo alito glaciale scende lungo il bordo occidentale dell’anticiclone russo-siberiano; in particolare qualora quest’ultimo decidesse di tendere la mano alla parte più occidentale dell’anticiclone delle Azzorre, creando un vero e proprio ponte di collegamento (da cui il nome “Ponte di Weikoff” attribuito a tale configurazione), permetterebbe alle masse d’aria provenienti direttamente  dalle lande siberiane e dalle pianure sarmatiche di raggiungere il cuore dell’Europa, conservando immutate le loro caratteristiche. Il nome poi attribuito dai russi a questi gelidi venti, ossia Burian, dal tono quasi minaccioso, sembra voler rincarare la dose, rimandando la mente a desolate ed inospitali distese innevate. Ad una massa d’aria così fredda e secca basta il minimo contributo di umidità per generare instabilità, fronti freddi e quindi precipitazioni, ovviamente nevose, per non parlare poi del brusco contrasto termico con le acque del Mediterraneo o di un’eventuale interferenza con  miti perturbazioni atlantiche; i risvolti in questi casi potrebbero essere esplosivi, come ci insegnano inverni passati alla storia, dal Febbraio 1929 (Fig.3) e 1956, al Gennaio 1985, a cui in molti guardano ancora oggi con un’inguaribile nostalgia.

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