Ebola in Sierra Leone: a Freetown chiusi i luoghi di aggregazione

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Ebola“Il governo ha chiuso i teatri, i cinema, i bar, tutti i luoghi di aggregazione, e ha rimandato a fine agosto gli esami pubblici di terza media previsti a luglio.
La tensione comincia a sentirsi anche qui a Freetown”, ha raccontato Nicola Orsini, da anni impegnato in Sierra Leone per la ong italiana Fondazione Avsi, sull’epidemia di Ebola che ha raggiunto la capitale dopo che sembrava che i contagi fossero circoscritti alle regioni orientali di Kenema e Kailahun.
Da giugno il governo e la società civile hanno rafforzato le misure di prevenzione per fermare il contagio: oltre ai checkpoint per circoscrivere l`epidemia, i centri sanitari dedicati, sono i luoghi pubblici a essere stati oggetto delle misure precauzionali più severe. Nei supermercati i gestori invitano tutti i clienti a lavarsi le mani con acqua e cloro, l`unica sostanza in grado di uccidere il virus, messa a disposizione agli ingressi. Nelle chiese, durante le messe, sempre affollate in un paese con il 15% della popolazione cristiana, non ci si stringe più la mano: lo scambio di pace è stato sostituito da un inchino con la mano destra sul cuore, e il sacerdote dà l`eucarestia nelle mani e non più direttamente in bocca. Abitudini costrette a cambiare, segnali piccoli, ma che amplificano il senso di paura tra la popolazione.
Stando agli ultimi dati forniti oggi dal ministero della Sanità di Freetown, sono 489 i casi di Ebola accertati in Sierra Leone, di cui 159 mortali, mentre altri 121 pazienti sono sopravvissuti.
E ieri è deceduto il medico “eroe” della lotta al virus, il dottor Omar Khan. In Sierra Leone rimane però la diffidenza della popolazione a farsi curare dai centri nazionali, riporta l’ong Avsi. Sono ancora in molti a evitare di prendere contatto con i medici in caso di sintomi della malattia, a fuggire dagli ospedali non appena la diagnosi è confermata, a nascondere le persone infette nelle case e nei villaggi, aumentando così il rischio di contagio e la diffusione della malattia. “Soprattutto nelle zone rurali e nei villaggi, la popolazione fatica a mettere da parte credenze e pratiche tradizionali, come quelle che riguardano la sepoltura dei cadaveri. E il virus ha un`alta probabilità di essere trasmesso anche da una persona deceduta”, ha spiegato Nicola Orsini, oggi impegnato a sensibilizzare la popolazione del Sierra Leone sui rischi della malattia. Inoltre, nella mentalità delle popolazioni rurali gli ospedali sono spesso percepiti come luoghi di morte e non di cura e dunque si preferisce far curare i propri cari dallo “stregone” locale. E` forse a partire da queste credenze che in alcune aree si è diffusa la voce che addirittura l`Ebola non esista e che sia solo un`invenzione del governo per far fuori oppositori politici e per attrarre i finanziamenti internazionali. Al di là delle accuse al governo – il cui messaggio di allarme è stato definito dai media troppo intimidatorio – la diffusione del virus in Sierra Leone rende indispensabili le attività di sensibilizzazione tra la popolazione. “Spesso la diffusione di messaggi informativi non basta – ha continua Nicola Orsini – serve una presenza costante fra la gente, in grado di sfondare il muro della diffidenza e della paura. Questo è ciò che anche noi di Avsi insieme al partner locale Fhm, stiamo cercando di fare coinvolgendo il nostro staff locale in attività di informazione e sensibilizzazione delle comunità in cui vivono, rassicurando la popolazione sulle concrete possibilità di guarigione. Nel caso poi l`epidemia dovesse diffondersi nelle aree in cui operiamo, prepareremo lo staff a svolgere un`attività di ‘contact tracing’, cioè di individuazione delle persone con cui i malati sono entrati in contatto e che quindi potrebbero aver contratto la malattia”.

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