Storie di musica: al femminile ed in Italia

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MeteoWeb

La quarta puntata della rubrica di MeteoWeb alla scoperta della storia della musica

Se finora non era stata menzionata nessuna donna non è perché nel panorama musicale a cavallo dell’ultimo secolo del vecchio millennio non esistevano le donne, anzi, spesso e volentieri “crescevano” i futuri talenti del blues “commerciale”,  considerando che i bambini frequentavano le parrocchie locali, e di donne che cantavano di fronte all’altare ce ne erano a fiocchi, tante quanto quelli di cotone che raccoglievano. Ma solo ed esclusivamente perché le donne all’epoca avevano ovviamente meno possibilità degli uomini e non era semplice tentare la carriera di blues woman…

Ma le cose, come sempre la storia ci ha insegnato per quanto riguarda i diritti rosa, sarebbero presto cambiate e dopo non troppo anche le donne sarebbero divenute protagoniste del palcoscenico.

Per chi non avesse visto il capolavoro cinematografico di Quentin Tarantino Django Unchained del 2012, che tutto tratta fuorché la musica, lo consiglio vivamente in quanto ci da ampiamente il contesto che ci interessa per farci un’idea di quelli che erano i ruoli della donna di colore nelle piantagioni del sud.

In realtà, qualche donna estremamente coraggiosa allora già c’era!!

Se ricorderete bene abbiamo citato e raccontato la Chess Records la scorsa puntata, la storica etichetta blues di Chicago, e volontariamente, poiché ne avrei voluto parlare appositamente, non ho menzionato tra i suoi collaboratori lei….

Una voce soave ed allo stesso tempo poderosa e profonda come la fossa delle Marianne, che si estendeva su 4 o 5 ottave senza grossi problemi, lei che ha cantato qualunque genere, partendo dal blues e dal gospel, per poi spaziare nel soul e nell’ R&B, nel rock & Blues, anche jazz ed in tantissime altre fusioni di generi del post anni sessanta. Lei la Californiana che migrò nel Midwest per passione del blues, lei, la sensuale e sempre eterna Etta James, che due anni e mezzo fa ci ha lasciati per andare a cantare nella Hall of Fame del Paradiso.

f1fe7d6e7224702e91786e5cb22be905Tuttavia, non fu Etta James la prima donna famosa e riconosciuta nel panorama musicale di allora. Furono, infatti, altre donne a influenzare le grandi voci rosa che hanno fatto la storia della musica al femminile come: la regina del soul Aretha Frenklin e la stravagante jazzista a tutto tondo Nina Simone. Donna quest’ultima di elevato spessore anche fuori dal palco dove si impegnò, addirittura abbandonando la carriera per un periodo, nella lotta per l’emancipazione della gente di colore, amica intima di Martin Luther King e Malcom X, fu voce della protesta e dell’apartheid Americana.

A influenzare anche Janis Joplin, una delle voci più belle della musica che prematuramente ha spiccato il volo, entrando di diritto nel J27, furono due donne in particolare: una ragazzona del sud, questa volta dell’Alabama, di Montgomery,  Willa Mae Thornton, ma per tutti fu sempre Big Mama e l’altra è la regina del jazz nonché così ribattezzata, non a caso, The first Lady of Music, Ella Fitzgerald.

Sister Rosetta ThorpeSenza dimenticare nel panorama femminile di allora, una pioneristica Sister Rosetta Thorpe e la sinuosa Odetta, che cambiò per sempre la vita di Bob Dylan.

E’ importante ricordare e fare una breve parentesi, al fine di mantenere un filo logico temporale, che contestualmente, essendo ormai arrivati quasi alla metà del ventesimo secolo si erano formati ed avevano preso piede anche commercialmente altri tipi di sound e generi. Non esistevano solo quelli menzionati fino ad ora, ovvero: blues, gospel o spiritual, swing, jazz e ragtime. Il blues da arancio rosso e succoso di Sicilia quale è stato al principio, chiaramente era stato sbucciato ed aperto a spicchi. Come un ventaglio si era aperto in varie sfaccettature, quegli otto e poi sedici e via dicendo tempi multipli, cominciarono ad essere interpretati in maniera diversa, ed anche i testi che identificavano i generi cominciarono a mescolarsi creandone di nuovi. Così è giusto precisare che si cominciava a sentire l’R&B ed il soul tra i neri, rivisitazioni più pop del blues e del gospel, mentre tra i bianchi spopolava il romantico country, che non era altro che un blues smielato nel testo, dove gli strumenti della cultura folk come il mandolino ed il banjo si mescolavano alla poeticità dei violini e delle viole.

In Italia, nello stesso periodo ci sistemavamo le fratture del primo dopo guerra, vincevamo due coppe del mondo di calcio e ci “armavamo” di ottima ed arrembante volontà in nome del fanatismo fascista e del Duce Benito, intavolando saggiamente una “intelligente e strategica alleanza” con il più “mite e ragionevole” Adolfo. Lo stesso che il Faber nello strepitoso capolavoro Vià della Povertà, remake di spessore notevole della famosa Desolation Row di Bob Dylan che chiude il leggendario album Highway 61 Revisited, riferendosi a lui dice:” I prigionieri vengono trascinati su di un calvario improvvisato lì vicino, ed il caporale Adolfo lì ha avvisati che passeranno tutti dal camino…”

La musica in Italia era prettamente di tipo classico allora, come in tutta Europa del resto, dove avevamo un certo prestigio e riconoscimento, considerando la cultura dell’opera che si era sviluppata e i geni assoluti impressi, per sempre, come pietre preziose della storia della musica classica che abbiamo dato alla luce negli ultimi due secoli precedenti: con Vivaldi e le sue Quattro Stagioni a inizio Settecento, Paganini a inizio Ottocento che, a quanto pare, non ripeteva mai due volte, e il propagandistico Beppe Verdi, che pare venisse inneggiato in nome e per conto di Vittorio Emanuele Re Di Italia alle porte dell’unità…e scusate se è poco!!!

Con riferimento  alla musica moderna, ed a quanto stava accadendo dall’altra parte dell’Atlantico, possiamo considerare influente quella tradizione di musica popolare e folkloristica che si sviluppava autonomamente, intrecciando e mescolando le varie culture che nello stivale avevano soggiornato.

Bisogna attendere il secondo dopo guerra affinché si possa cominciare a parlare di Canzone Italiana. Fino ad allora c’era il Duce che era un’amante dell’operetta e della musica da camera, per cui non veniva dato spazio a chi volesse fare pop. Con l’amico Adolfo si crogiolavano nella solennità boriosa dei capolavori di Wagner, immersi entrambi nella loro tracotante miserabilità e meschinità. Anche se a piazzale Loreto credo che intrasentì O Bella Ciao….

Quando almeno apparentemente la libertà tornò, le menti da sempre più creative del globo terracqueo hanno cominciato a pensare a quella che sarebbe poi diventata la grande musica di autore italiana, che incominciò i percorsi di Battisti, sempre coadiuvato dal maestro Mogol, Tenco, De Andrè, De Gregori, Guccini, Rino Gaetano e tanti  altri.

Anche l’Italia, come gli States nella storia di J.L. Hooker e Muddy Waters, parte con un dualismo per iniziare il suo percorso verso la musica moderna. Sono più o meno coetanei, uno è nato a Roma nel 1926, mentre l’altro è di Bari, più precisamente di Polignano a Mare, ed è due anni più giovane. Sono considerati da sempre i padri della musica leggera Italiana, coloro che l’hanno fatta amare facendo sognare, che l’hanno esportata e che l’hanno intonata in quegli anni cinquanta di un’ Italietta che cominciava a sognare davanti al jetset della Dolce Vita capitolina.

Ebbero una carriera molto simile i due, un continuo parallelismo,  un duello, antagonisti senza mai essere nemici, anzi….

Entrambi considerati i padri della musica leggera italiana, entrambi con il primato ancora oggi imbattuto di quattro vittorie al Festival di San Remo( di cui uno vinto insieme), decine di milioni di dischi venduti all’estero per entrambi, ed entrambi anche attori di fama riconosciuta: interpretando rispettivamente più di trenta film uno e trenta l’altro, più numerosi spettacoli teatrali e  televisione.

Il capitolino, il trasteverino, il più grande dei due, soprannominato il Reuccio, la visse sempre la sua Roma, e sempre nel cuore se la portava ovunque andasse.  Ma, ironia della sorte, quando nel 1987 in diretta televisiva durante una serata del Festival di San Remo, Pippo Baudo annunciava la sua morte, lui non era a Roma, era a Padova dove si era recato per farsi operare il cuore. La notizia data in diretta creò sgomento e commozione nei presenti e in tutta Italia ovviamente, lui che era nato a Roma e ci sarebbe voluto morire nella sua Roma, quando chiuse gli occhi per l’ultima volta non era nella sua città tanto amata, che sembrava premonitrice quella canzone Arrivederci Roma, che all’anagrafe faceva Caudio Pica e che noi tutti lo acclamiamo come Claudio Villa Re di Roma e della musica Italiana…..

L’altro, che guardava sempre il mare da bambino e che in effetti pare ce lo avesse riflesso nello sguardo, pianse anche lui quella sera per la scomparsa del suo collega, del suo antagonista, del suo rivale, del suo amico con il quale aveva vinto nel 1962 un festival di San Remo cantando assieme sul palco dell’ Ariston  Addio…Addio….ironia della sorte.

Lui che ha deciso di morirci in mezzo al mare, in mezzo al mediterraneo, lo stesso che lo incantava quando era bambino, nell’isola in cui oggi fa da sparti acque tra il nord Africa e l’ Europa, e molto spesso tra la vita e la morte. Morì nella sua casa di Lampedusa un mese dopo che Roberto Baggio sparava il rigore sopra la traversa contro i brasiliani, e quella volta la alzarono loro per la quarta volta la coppa del mondo, in nome di Ayrton Senna. Lui che ci ha resi celebri nel mondo con questa canzone, che chiunque in qualunque parte del mondo quanto meno intona, se non addirittura canta ancora oggi a distanza di più di cinquanta anni, che come Ayrton amava volare…

Domenico Modugno e la sua indimenticabile ed eterna “Nel blu dipinto di blu”…

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