Spazio: coltivare verdure sulla Luna e su Marte? Un obiettivo possibile

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L’idea di produrre verdure nello spazio è cresciuta nel tempo, di pari passo con l’allungarsi dello sguardo umano al di là dei confini della Terra

Trovare il modo di far crescere un orto al di fuori della Terra, in mondi lontani che però non sono più fantascienza. Tema affascinante al centro di “Agrispazio: colonizzare Luna e Marte per nutrire la Terra”, il nuovo appuntamento Expo della regione Lazio targato “Call4Innovators” organizzato da Lazio Innova con il coordinamento scientifico dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata che ha riunito oggi all’Auditorium dell’Ara Pacis rappresentanti di università, enti di ricerca, industrie, pmi e giovani innovatori.
L’idea di produrre verdure nello spazio è cresciuta nel tempo, di pari passo con l’allungarsi dello sguardo umano al di là dei confini della Terra, con l’ambizione di uscire dall’orbita bassa e colonizzare i pianeti del nostro Sistema Solare e con la realizzazione di quel grande progetto di laboratorio orbitante che è la Stazione spaziale internazionale. E l’idea si è rafforzata pensando che da queste ricerche si sarebbero potuti trarre benefici anche qui sulla Terra nel campo della produzione alimentare che deve fare i conti con l’inquinamento, l’ottimizzazione delle risorse e con il riciclo e riutilizzo degli scarti.
Terra e MarteIl tema coinvolge ricercatori ed esperti di discipline e settori che fino a qualche tempo fa avrebbero avuto poco da dirsi come astrofisici, antropologi, biologi, ingegneri, fisici, chimici e che invece si trovano a collaborare strettamente, come spesso accade nell’ambito della ricerca. Così l’astrofisico Amedeo Balbi, ricercatore al Dipartimento di Fisica di Tor Vegata, partendo dalla Terra – “che si regge su un equilibrio delicato” e che ad ora non ha eguali nel nostro Sistema Solare – ci ha portato prima verso Marte (pianeta “inospitale”) e Venere (“con un effetto serra catastrofico, temperature di 500 gradi centigradi”), per poi spingersi oltre verso pianeti che orbitano intorno ad altre stelle. Pianeti che vengono studiati per capire se hanno caratteristiche simili a quelle delle Terra e requisiti fisici compatibili con la presenza di vita come noi la conosciamo (definiti in questo senso “abitabili”, anche se non è detto che ci si possa abitare davvero) e che sono lontanissimi: il pianeta abitabile più vicino alla Terra è a 12 anni luce.
E se l’obiettivo ultimo è la colonizzazione dello spazio, intanto ci si preoccupa di abbattere i costi legati all’approvvigionamento della Iss e, nello stesso tempo, a migliorare la qualità di vita degli astronauti che la abitano dando loro la possibilità di mangiare cibo fresco. Quell’insalata e quei pomodori di cui l’astronauta Samantha Cristoforetti ha ammesso di sentire la mancanza mentre era in orbita.
clima marteL’ingegnere spaziale di Thales Alenia Space Italia Giorgio Boscheri ha spiegato che oggi sulla Iss si vive all’insegna della parsimonia, si risparmia su tutte le risorse: ogni astronauta ha a disposizione 1,5 litri di acqua al giorno che poi viene riciclata come tutti gli altri liquidi prodotti, si ricicla l’aria, si consumano cibi di qualità sì ma conservati. Mancano dunque i piaceri dell’orto. Le piante si coltivano nello spazio ormai da 20 anni ma solo per capire che effetto gli fa, nessuno può mangiarle perché ancora bisogna stabilire se quel cibo è sano visto che cresce in un ambiente chiuso e certo non sterile. E qui entrano in gioco i sistemi bio-rigenerativi su cui lavorano sia le aziende come TAS sia enti come l’Agenzia spaziale italiana che ha creato il gruppo di lavoro Ibis (Italian Bioregenerative Systems) – come ha spiegato Salvatore Pignataro dell’Asi che del gruppo è coordinatore – proprio per contribuire alla formazione di una visione nazionale e internazionale sul tema. Tema, quello del supporto alla vita di tipo biorigenerativo, che è nell’agenda del programma europeo per la ricerca Horizon 2020 e nella road map dell’Agenzia spaziale europea.
Ecco allora che TAS è impegnata a creare un orto spaziale, lavorando al prototipo di un sistema protetto chiamato Eden Iss (progetto finanziato dalla Commissione europea, a forte partecipazione italiana e coordinato dall’agenzia spaziale tedesca), grande come un frigorifero, illuminato da luci Led, che trae anidride carbonica dall’ambiente e usa acqua ottenuta condensando l’umidità dell’aria di cabina. Eden nel 2017 farà tappa anche in Antartide, ambiente estremo che permetterà di replicare a terra condizioni operative per alcuni aspetti simili a quelle spaziali e offrendo così la possibilità di verificare la capacità di produrre cibo di qualità in condizioni limite.
E in Antartide, con i suoi sistemi per il controllo dell’aria, ci sarà anche Aero Sekur, pmi con sede ad Aprilia che opera nei settori dell’aeronautica, della difesa e dello spazio, che nel 2011 ha sviluppato una piccola serra approdata sulla Iss con l’astronauta Paolo Nespoli, è impegnata nel progetto dell’Esa per l’habitat sulla Luna, ha fornito il paracadute per Exomars e doterà il rover della stessa missione marziana di filtri per evitare la contaminazione umana del pianeta. E non si tratta che di pochi esempi di una ricerca che si rivela sempre più promettente.

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