Archeologia: scoperta una grande villa romana a Grosseto

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Nella provincia di Grosseto le ricerche condotte nel sito di Santa Marta si stanno rivelando di eccezionale importanza per la ricostruzione della vicenda storica di Colle Massari: un territorio strategico fra la valle dell’Ombrone e la val d’Orcia dove tutto iniziò con una grande villa romana. Le più recenti scoperte archeologiche sono illustrate dai ricercatori Stefano Campana, Francesco Brogi, Marianna Cirillo, Cristina Felici, Mariaelena Ghisleni, Elisa Rubegni e Emanuele Vaccaro del Laboratorio di Archeologia dei Paesaggi e Telerilevamento dell’Università di Siena nel nuovo fascicolo della rivista “Archeologia Viva” (Giunti editore).

La Fondazione Bertarelli ha ‘adottato’ le ricerche che gli archeologi dell’Università di Siena stanno conducendo nel territorio di Cinigiano dal 2007 grazie al progetto “Carta Archeologica della Provincia di Grosseto“, tanto da acquistare un’intera area per consentire l’avvio degli scavi su quello che appariva come il più promettente sito archeologico del territorio. La sinergia che si è creata tra ricerca, conservazione e valorizzazione ha dato ragione a questa visione lungimirante, tanto che il sito di Santa Marta sta rivelando, a ogni nuova campagna, una formidabile quantità di notizie sulla millenaria storia del luogo. L’area archeologica di Santa Marta, che preliminarmente, in superficie, faceva pensare a quanto restava di una villa romana, è stata indagata con le più moderne metodiche non invasive, con l’obiettivo di approfondire la conoscenza del deposito nelle sue diverse fasi e nella sua estensione.

Santa Marta12I dati acquisiti hanno consentito di individuare una serie di strutture riconducibili a una stratificazione di epoca romana e un’area cimiteriale annessa a un edificio religioso, dunque con una frequentazione dall’epoca romana repubblicana (II-I secolo a.C.) fino al XVII secolo d.C. Dopo la fase diagnostica, dal 2012 sono iniziate le campagne di scavo sulle aree più promettenti per la comprensione delle fasi principali di quello che si è rivelato un importante insediamento, chiaramente legato all’antica viabilità e quindi con funzioni di mansio. I depositi più antichi sono stati indagati nell’area sommitale della collina dove si trovava la parte del complesso destinata a residenza, almeno nella sua fase originaria databile tra la tarda età romana repubblicana e la prima età imperiale (II secolo a.C. – I secolo d.C.): una villa che presenta caratteri di rappresentanza con pavimenti di pregio destinati verosimilmente ad aule di ricevimento. Nel primo periodo imperiale l’area viene abbandonata a favore della costruzione di un nuovo impianto termale, composto da un grande edificio di accoglienza e dai balnea veri e propri dotati di pavimenti a mosaico e ipocausto.

Solo in età tardoantica, nel V secolo, i bagni perdono la loro funzione in concomitanza con un processo di ridefinizione degli spazi, di recupero e, infine, di spoliazione del materiale edilizio che si conclude intorno al VII secolo. Dopo la conclusione della fase tardoantica, il sito continua a vivere trasformandosi in un importante centro ecclesiastico con la pieve di Sant’Ippolito a Martura che, grazie agli scavi in corso, ha cominciato a rivelare la sua presenza sotto al successivo impianto di epoca romanica. La prima attestazione scritta di questa pieve risale al 1188 (dunque alla fase romanica), ma gli scavi hanno rivelato una fase altomedievale, precedente al Mille, quando la chiesa doveva essere più grande e dotata di un ricco apparato decorativo nonché circondata da sepolture importanti. Come pieve di Martura la chiesa rimane in funzione fino al 1500, quando fu decisa la costruzione, all’interno del vicino castello di Colle Massari, della cappella gentilizia di Santa Marta che da allora sostituì il più antico edificio di culto.

images (1)I resti della chiesa di Sant’Ippolito a Martura sono in corso di scavo, insieme alla residenza e ai bagni di età romana, e stanno fornendo importanti conferme sulle fasi altomedievali e romaniche del sito, compreso un cimitero che dal pieno Alto Medioevo giunge al XVII secolo. Nel complesso, le indagini mostrano un sito dalle enormi potenzialità per lo studio del territorio a cavallo fra la valle dell’Ombrone e la val d’Orcia: sta emergendo la storia di un luogo centrale già a partire dalla piena età romana, che supera il Medioevo con la sua chiesa plebana e giunge alla nascita – le prime attestazioni sono del XIII secolo – del castello di Colle Massari, tutt’oggi a dominio del paesaggio con le sue possenti torri. Nella parte più a sud dell’area archeologica sono stati individuati dei balnea, davvero rilevanti per caratteristiche architettoniche, decorative e topografiche, articolati in due ampi complessi e altrettante cisterne. Il primo complesso (purtroppo tagliato da un fossato negli scorsi anni Sessanta) è costituito da un monumentale ingresso porticato con aula di ricevimento attraverso la quale si doveva accedere a un cortile, e da qui alla terma vera e propria.

Quest’ultima era composta da uno spogliatoio (apodyterium) seguito dal frigidarium, e quindi dai due ambienti riscaldati del tepidarium, munito di abside, e del calidarium. La circolazione dell’aria calda era assicurata dal sistema dell’hypocaustum, che consentiva il passaggio di aria calda proveniente dal forno in apposite intercapedini poste sotto al pavimento, sorretto da colonnette (suspensurae), e lungo le pareti provviste di tubuli. Le tecniche costruttive consentono di datare l’edificio tra fine I e primi decenni del II secolo d.C. Sia il tepidarium che l’apodyterium sono dotati di pavimenti a mosaico. L’area termale, insieme alla grande sala di accesso, sembra aver avuto un utilizzo prolungato, forse sino agli inizi del V secolo. A sud del primo edificio termale che abbiamo visto, separate da un corridoio si trovano due cisterne per l’acqua rivestite di cocciopesto. Ma la loro posizione fa pensare che siano da mettere in relazione con un’altra terma poco distante. A causa di un minore interramento nel corso dei secoli, questo secondo complesso ha subito la distruzione, a causa delle arature, di gran parte degli alzati dei muri. Sono comunque leggibili parti dei bei pavimenti musivi e tutti gli ipocausti.

Santa Marta1Un corridoio doveva collegare questa seconda terma alla prima. Attraverso un doppio accesso si entrava in un ampio frigidarium, le cui due soglie presentano mosaici con motivi policromi a tappeto, mentre all’interno i resti musivi mostrano motivi a onde; un’abside racchiudeva una vaschetta per i bagni freddi. Anche nel calidarium sono stati intercettati pavimenti a mosaico con animali che corrono in un paesaggio agreste. Il calore veniva prodotto da un grande forno addossato all’edificio. Le tecniche costruttive di questo secondo impianto suggerirebbero una datazione vicina a quella dell’altro. Tuttavia i mosaici presentano tessere grossolane e un ordito irregolare, che ne suggerirebbero una datazione tra la media e la tarda età imperiale, e confermerebbero che anche questo edificio sia rimasto in uso fino al IV secolo. Anche se i due impianti non furono realizzati insieme, hanno comunque coesistito per un certo periodo, forse con una diversa destinazione: uso privato di una terma e pubblico dell’altra; oppure un impianto per gli uomini e uno per le donne. A differenza del secondo edificio termale, nel primo l’ottima conservazione delle stratigrafie consente di leggere la storia tardoantica del monumento.

Esso, nel corso del V secolo, fu oggetto di una spoliazione dei pavimenti a mosaico e di parte delle murature. Lo scopo era il riutilizzo del materiale da costruzione e la fusione delle fistulae (tubazioni) in piombo per realizzare utensili. All’interno degli ambienti riscaldati questo riuso tardoantico avvenne muovendosi tra le colonnette delle suspensurae che solo in parte furono smontate. Per lo più esse servirono come appoggi per divisioni interne a scopi diversi (tra cui il seppellimento di un bambino in una tomba “alla cappuccina”). Dopo questa fase di spoliazioni, che sembra concludersi nel VI secolo, la vita proseguì su pavimenti in terra battuta nell’aula d’ingresso, mentre attività domestiche e artigianali si svilupparono nelle aree adiacenti. Le tracce di un’intensa occupazione si possono seguire fino al VII secolo, dopodiché tutto venne abbandonato. La prima attestazione nota di una pieve di Sant’Ippolito a Martura è del 1188. Successivamente, nel corso del Duecento, la pieve è oggetto di contesa tra la diocesi di Grosseto e il monastero camaldolese di Sant’Ambrogio a Montecelso, presso Monteriggioni (Si): il conflitto fu risolto con la concessione della piena autonomia alla plebe di Sant’Ippolito a Martura, che ebbe come suffraganee due chiese vicine.

imagesSul finire del XIII secolo il luogo di culto venne dedicato a Santa Maria, ma cambiò ancora denominazione in Santa Marta (nome con cui oggi si identifica l’intera area archeologica). La pieve rimase in funzione fino al Cinquecento, epoca in cui fu decisa la costruzione della cappella gentilizia sempre dedicata a Santa Marta all’interno del castello di Colle Massari. Da questo momento a Sant’Ippolito a Martura cessano le funzioni religiose, anche se vi permane il diritto a ospitare sepolture: lo scavo archeologico sta rivelando un intenso uso cimiteriale concentrato nei secoli XV-XVII, all’interno e all’esterno della chiesa. L’ultima documentazione sull’esistenza dell’edificio di culto, già in rovina, risale all’inizio del Settecento. La chiesa che lo scavo ha riportato in luce ha avuto almeno due impianti diversi. La prima chiesa è verosimilmente a pianta basilicale; questo edificio che si colloca nel corso dell’Alto Medioevo, certamente prima del X secolo, era dotato di un pavimento in lastre di pietra e presentava vividi affreschi alle pareti. Numerose sepolture dell’epoca, con fosse foderate da pietre e laterizi, sono state individuate all’esterno. Successivamente, nella fase romanica, un edificio a navata unica sempre con abside a oriente sostituisce quello più antico; le murature riportate in luce permettono di apprezzare i caratteri tipicamente romanici, con filari di pietre ben squadrate.

La pieve di Sant’Ippolito a Martura continua a ospitare sepolture (finora ne sono state scavate cinquanta di fasi diverse), le più recenti in fosse terragne, databili tra XV e XVII secolo grazie alla presenza di rosari e medagliette devozionali.

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