Fecondazione: le anomalie degli embrioni non si traducono per forza in malformazioni nei bambini

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Un nuovo studio condotto sulle anomalie degli embrioni fa luce sulle possibili conseguenze sulla salute dell’eventuale futuro bimbo. Secondo la ricerca, anche se l’embrione in fase precoce presenta cellule anomale, non necessariamente nascerà un bambino con difetti gravi.

Lo studio, condotto su topi, è stato portato avanti da esperti dell‘Università di Cambridge ed è stata riportata sulla rivista ‘Nature Communications’.

Gli scienziati hanno dimostrato che le cellule anormali possono essere eliminate e sostituite da cellule sane, che ‘riparano’ l’embrione. E anche se questi difetti rimangono ‘in circolazione’ e vengono captati da esami come la villocentesi, non per forza significano che nascerà un bimbo con problemi.

Magdalena Zernicka-Goetz, autore senior dello studio, ha condotto l’indagine ispirandosi alla propria esperienza personale, dopo che è rimasta incinta del suo secondo figlio. “Faccio parte del crescente numero di donne – racconta – che hanno figli dopo i 40 anni. Io ne avevo 44“.

La ricercatrice si era sottoposta a villocentesi e un quarto delle cellule della placenta era risultata anormale. Al colloquio con i genetisti sulle potenziali implicazioni, la donna aveva che la scienza sa ancora molto poco sulla sorte degli embrioni contenenti cellule anomale e di queste cellule anormali all’interno degli embrioni in via di sviluppo. Fortunatamente il figlio della professoressa Zernicka-Goetz, Simon, è nato sano.

“In effetti, cellule con anomalie numeriche e/o strutturali dei cromosomi si osservano in circa l’80-90% degli embrioni umani in fase iniziale di sviluppo, dopo la fecondazione in vitro“, spiega Thierry Voet del Wellcome Trust Sanger Institute, altro autore senior di questo articolo, “e i test prenatali possono riportare un certo grado di queste anomalie“.

Wellcome Trust, Zernicka-Goetz e colleghi hanno sviluppato un modello murino di aneuploidia ‘mixando’ embrioni a 8 cellule normali ed embrioni con 8 cellule anomale (ottenendo così embrioni ‘mosaico’).

Dal momento che gli embrioni anormali di topo sono relativamente inusuali, il team ha usato per crearli una molecola che si chiama reversina.

E’ stato osservato che negli embrioni dove il ‘mix’ di cellule normali e anormali era 50:50, le cellule anomale all’interno dell’embrione venivano uccise attraverso il processo noto come ‘apoptosi’ (la morte programmata delle cellule), anche quando nelle cellule placentari venivano poi mantenute le anomalie.

Questo ha permesso alle cellule normali di prendere il sopravvento: l’embrione alla fine aveva tutte le cellule sane. I ricercatori, prima di passare allo studio sugli esseri umani, proveranno a determinare la proporzione esatta di cellule sane necessarie per riparare completamente un embrione e il meccanismo con cui le cellule anormali vengono eliminate.

Secondo Antonio Capalbo, responsabile del programma di Diagnosi preimpianto dei Centri di medicina della riproduzione Genera e direttore del laboratorio Genetyx di Marostica, “gli aspetti innovativi e soprattutto traslabili di questo studio sono purtroppo pochi – spiega all’Adnkronos Salute – primo per l’incidenza limitata del fenomeno del mosaicismo cromosomico (si verifica nel 3% degli embrioni allo stadio di blastocisti e nell’1-2% delle gravidanze), sia perché il modello di studio, oltre a essere animale, è stato creato utilizzando un agente che induce popolazioni di cellule anomale, che unite creano le cellule chimera. Anche le anomalie indotte non sono quelle fisiologiche. Il merito del lavoro è che cerca di caratterizzare meglio la sopravvivenza degli embrioni mosaico, anche se indotti e non generati naturalmente. Purtroppo di questo si conosce ancora poco e questo studio non ci dà elementi concreti”.

Ma per evitare che si creino false speranze soprattutto fra le coppie che ricorrono alla fecondazione in vitro e alla diagnosi preimpianto degli embrioni ottenuti, che “il 99% delle anomalie cromosomiche dell’uomo sono di origine meiotica (provengono dall’ovocita oppure occasionalmente dallo spermatozoo) e hanno un destino irreversibile: determinano fallimento dell’impianto dell’embrione in utero o l’aborto nei primi 3 mesi di gravidanza”

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