Giappone, 5 anni da Fukushima: il dibattito sul nucleare rimane aperto

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Ricorre domani il quinto anniversario del disastro di Fukushima. L’11 marzo del 2011 un terremoto di magnitudo 9 colpì a costa nordorientale del Giappone provocando uno tsunami che spazzò via interi centri abitati e si lasciò alle spalle un bilancio di 18mila morti. L’onda anomala colpì anche l’impianto di Fukushima e i suoi generatori di emergenza, lasciando i tre reattori operativi senza raffreddamento. Il governo dichiarò lo stato d’emergenza atomica evacuando migliaia di persone e nei giorni successivi, dal 12 al 15 marzo, si verificarono diverse esplosioni nei reattori a causa dell’alta concentrazione di idrogeno. A cinque anni di distanza, paura e rifiuto del nucleare restano forti in Giappone nonostante l’insistenza del governo a riaprire le centrali, una delle quali – quella di Takahama – è stata bloccata di recente per ordine di un tribunale che ne ha messo in dubbio la sicurezza.

LaPresse/Reuters
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Stando agli ultimi sondaggi, il 55,3% dei giapponesi è contrario alla riapertura degli impianti nucleari per paura che si ripeta un’altra tragedia come quella seguita al terremoto e allo tsunami dell’11 marzo 2011. Solo il 36,9% appoggia la riapertrura. Inoltre un sondaggio realizzato questo mese dall’agenzia di stampa Kyodo mostra che i due terzi delle amministrazioni locali vogliono che il Paese riduca in futuro la dipendenza energetica dalle nucleari (di fatto il 21% chiede direttamente un black-out atomico). A fianco del governo del premier Shinzo Abe, il cui piano vorrebbe che il Giappone producesse il 20-22% della sua elettricità dalla fissione nucleare entro il 2030, ci sono le località che ospitano gli impianti, la cui economia dipende quasi completamente dal funzionamento delle centrali. Nonostante questi obiettivi numerici a cui aspira l’esecutivo siano ancora lontani, dopo un black-out nucleare di due anni adesso due reattori sono operativi e l’ente regolatore Nuclear Regulation Authority, dissolto nel 2012 e poi rifondato a seguito della cattiva gestione della crisi di Fukushima, stabilirà criteri di sicurezza più rigidi. I due reattori riavviati sono il numero 1 e 2 della centrale di Sendai, nel sudovest del Paese, che hanno cominciato a funzionare rispettivamente gli scorsi 11 agosto e 15 ottobre, fra le proteste di attivisti e abitanti della regione.

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Molto più controverso è il caso della centrale di Takahama, che meglio incarna il forte rifiuto in Giappone contro il ritorno all’energia nucleare e gli ostacoli che il governo e le compagnie elettriche stanno incontrando su questo terreno. L’impianto si trova a Fukui, nell’ovest del Giappone, prefettura considerata il “motore nucleare” del Giappone, visto che ospita 11 dei 43 reattori in grado di funzionare presenti in Giappone. Dopo avere ottenuto il benestare dell’ente regolatore e di un giudice locale che inizialmente aveva proibito il suo avvio per dubbi relativi ai suoi sistemi di prevenzione di disastri naturali come quelli del 2011, la società che gestisce Takahama ha riavviato i reattori 3 e 4 gli scorsi 9 gennaio e 26 febbraio. Tuttavia l’unità 4, dove era stata registrata una fuga di liquido refrigerante appena una settimana prima dell’accensione, è entrata in blocco automatico appena tre giorni dopo l’attivazione per uno sbalzo di tensione. Mentre questo reattore era bloccato in attesa di determinare la causa del problema, un altro tribunale il 9 marzo ha accolto la richiesta di un gruppo di privati che ritengono che il funzionamento di Takahama metta in pericolo tutta la regione intorno e ha ordinato il blocco immediato anche dell’altro reattore. Lo stop dell’impianto per ordine giudiziario ha riacceso il dibattito nucleare nell’arcipelago, mentre il governo centrale difende la sua politica e il criterio dell’ente regolatore, che ritiene che sia stato progettato il “sistema di sicurezza atomica più rigido al mondo“.

L’esecutivo di Abe, uscito vincente alle urne nel 2014, sottolinea che se il Giappone vuole dare un’importante spinta alla sua economia, può e deve tornare a fidarsi del nucleare. Il black-out nucleare dopo Fukushima ha obbligato il Paese, che scarseggia di risorse energetiche e che prima del 2011 otteneva un terzo della sua elettricità dalla fissione atomica, ad aumentare l’importazione di idrocarburi, il che costituisce un ostacolo per la sua bilancia commerciale. La posizione del governo è sostenuta dalle compagnie elettriche regionali, che perdono decine di milioni al giorno per mantenere i reattori spenti e usare costosi impianti termoelettrici per compensare.

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