Artrosi all’anca: 100mila gli interventi con protesi ogni anno

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Sono 100mila le protesi che ogni anno aiutano gli italiani a vivere meglio: un’operazione chirurgica che, finora, ha provocato diverse problematiche a livello di riabilitazione, di perdita di sangue, di tempi di recupero e complicazioni. E’ l’intervento più eseguito in ortopedia in Italia: il picco di operazioni è tra i pazienti tra i 68 e i 75 anni. E’ stato però introdotto una nuova modalità d’intervento, più sicura e più efficace, sicura al 100%, che azzera rischi e degenze settimanali, quella per via anteriore mini-invasiva.

L’ARTROSI ALL’ANCA L’artrosi all’anca è una patologia della terza età, dai 60 anni in su, anche se nel 3% dei casi colpisce anche soggetti compresi tra i 40 e i 60 anni. I più colpiti  – spiega l’ortopedico Mario Manili Socio SIOT – Società di Ortopedia e Traumatologia – Consulente presso il Centro Chirurgico Toscano di Arezzo e la Clinica Villa del Rosario di Roma – sono gli sportivi professionisti: 8 su 10 possono essere vittime di questa malattia. A rischio anche chi per lavoro deve sopportare grossi carichi. La causa è la degenerazione della cartilagine, causata da trauma o microtraumi. La malattia colpisce soprattutto le donne: ogni 4 pazienti solo 1 è maschio. La motivazione sarebbe legata alla menopausa: i cambiamenti ormonali contribuiscono allo sfaldamento della cartilagine, dando il via al processo degenerativo. A causare l’artrosi, inoltre, alcune alterazioni anatomiche del femore, che provocherebbero uno squilibrio e la successiva degenerazione”.

COME AVVIENE TRADIZIONALMENTE L’INTERVENTO – La novità dell’intervento non riguarda i materiali, quanto la parte chirurgica, ossia come viene applicata la protesi. Tradizionalmente questa viene attaccata con una via di accesso laterale o con una via di accesso post-laterale: tutte in due hanno in comune il fatto che bisogna distaccare i muscoli dalla loro inserzione muscolare. Questi vengono ricollocati con una sutura, ma provocano disturbi e perdite ematiche. La ripresa dell’attività muscolare su un tendine che è stato ricollocato può non essere ottimale, provocando anche una zoppia, che potrebbe anche cronicizzarsi con il tempo.

LA NUOVA TECNICA – “Questa nuova tecnica – spiega il Dr. Mario Manili – non comporta il distacco di alcun muscolo, e per questo viene detta via anteriore mini-invasiva. In altri termini, non si aggredisce il muscolo, ma si “evitano”, attraversandoli senza però traumatizzarli. Il tutto avviene tramite un’incisione longitudinale sulla parte anteriore della coscia di circa 10 centimetri, che permette di divaricare i muscoli. I vantaggi principali sono una marcata riduzione del dolore postoperatorio, la scarsa perdita di sangue, senza particolare bisogno di trasfusioni, e la rapida riabilitazione. Il paziente, infatti, riprende a camminare già a distanza di 24 ore, senza o con pochissimo dolore. Si azzera, infine, la possibilità di avere una lussazione post-operatoria.

I PAZIENTI E LE CAUSE  – Il trattamento può essere eseguito sulla maggior parte di pazienti, ad eccezione di chi è in eccessivo sovrappeso, per cui si consigliano altre operazioni chirurgiche. Si possono trattare anche i pazienti molto anziani. Cento le operazioni finora eseguite, con il 100% di successo e senza alcuna forma di complicazione e con rapidi riabilitazioni. L’uso delle stampelle si limita a pochi giorni; inoltre si può anche guidare l’auto e si può andare in bicicletta nell’arco di pochi giorni.

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