Chernobyl: le scorie del vercellese sono ancora un problema irrisolto

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L’eredità nucleare italiana è custodita quasi completamente in un fazzoletto di terra tra la Dora Baltea e il fiume Po, in provincia di Vercelli. Si tratta del 90% dei rifiuti radioattivi nazionali, anche in forma liquida. Le scorie, scrive Mauro Ravarino Torino di LaPresse, sono il risultato dell’attività della centrale ‘Enrico Fermi’ di Trino Vercellese e, soprattutto, dell’attività di riprocessamento praticata, tra gli anni Settanta e Ottanta, nell’impianto Eurex di Saluggia, che si trova a pochi metri dalla Dora Baltea e proprio a monte dei pozzi dell’acquedotto del Monferrato, il più grande del Piemonte. Durante l’alluvione del 2000, l’Eurex fu allagato e proprio in quell’occasione si sfiorò, secondo Carlo Rubbia (al tempo presidente Enea), “una catastrofe planetaria“.

Una posizione anomala, che rende ancora più urgente l’individuazione di un deposito nazionale. La Sogin è la società di Stato responsabile del decommissioning (ovvero dello smantellamento) degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi compresi quelli prodotti dalle attività industriali. Il 2 gennaio 2015 Sogin ha consegnato a Ispra la proposta di ‘Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee‘ a ospitare il deposito e Parco Tecnologico, rispettando i tempi previsti dal decreto legislativo 31/2010. Il 13 marzo 2015 Ispra ha inviato al ministero dello Sviluppo Economico e al ministero dell’Ambiente la sua relazione sulla proposta. L’iter appare, però, attualmente fermo: la Carta non è mai stata pubblicata. La preoccupazione degli ambientalisti e dei cittadini del Vercellese è che i depositi temporanei, in zone non considerati idonee, possano rimanere tali. Anche il sito di Trino si trova sulla riva sinistra del Po. In 23 anni di attività (1964-1987) la centrale Fermi ha prodotto 26 miliardi di kWh di elettricità, allo stato attuale dei consumi in Italia, pari a circa 26 giorni di fabbisogno.

La sua eredità non è ancora del tutto risolta. Il combustibile irragiato è stato spedito in Francia e tornerà solo una volta riprocessato nell’impianto francese di La Hague. Pochi chilometri più in là, tra le risaie lungo la strada delle Grange, sarebbe dovuta sorgere un secondo impianto nucleare, la cui costruzione fu sospesa con il referendum del 1987, successivo al disastro di Chernobyl. A Saluggia la situazione è forse più delicata. La variante generale, adottata definitivamente dal Comune nel luglio del 2014, vietava la realizzazione di nuovi impianti e depositi nucleari fino all’individuazione del deposito nazionale. La Regione Piemonte ha approvato il 18 gennaio 2016 la variante, annullando però il divieto di realizzazione nuovi impianti e depositi fino alla individuazione del sito nazionale. Secondo cittadini e associazioni (Legambiente e Pro Natura) la deliberazione della Regione, che annulla il divieto deciso dal Comune di Saluggia, non è coerente con quanto stabilito dall’Autorità di Bacino, che per i depositi nelle fasce fluviali, aveva imposto verifiche del rischio idraulico e idrogeologico.

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