A 30 anni dal disastro nucleare che devastò Chernobyl, nella città e nelle zone limitrofe il tempo sembra essersi fermato: la natura riprende il sopravvento, gli edifici sono abbandonati e decadenti, tanti i giocattoli abbandonati ricoperti di polvere posati accanto a maschere anti gas e le macchine con ancora gli sportelli aperti, lasciate lì nella concitazione di attimi interminabili e mai più recuperate. Tutti elementi, questi, che contribuiscono a creare un paesaggio spettrale, simile a quelli riprodotti nei film horror. Da quel 26 aprile 1986, tante vite sono cambiate, la maggior parte a causa delle ormai tristemente famose radiazioni che contaminarono i luoghi circostanti al reattore numero 4, quello esploso durante un test di sicurezza. Villaggi e città, anche situati a diversi km da Chernobyl, verranno evacuate e diventeranno, da quel momento in poi, città fantasma: tra queste, la più famosa è Pripyat, all’epoca ospite di circa 50.000 abitanti, oggi completamente vuota, anche se spesso meta di curiosi provenienti da tutto il mondo, attirati dalla possibilità di vivere un’esperienza all’insegna del turismo estremo.
Ma oltre a Pripyat, vi sono altre cittadine e piccoli villaggi investiti dallo stesso triste destino: tra questi, Parishiv, un villaggio a 7 km a nord di Chernobyl originariamente abitato da 600 anime, evacuato subito dopo il disastro. A questo posto, per un paio d’anni, nessuno osò avvicinarsi, fino a quando alcuni abitanti non decisero di tornarvi. Esattamente, sono in sei oggi a vivere nel piccolo villaggio, incuranti ormai dei possibili pericoli o conseguenze negative che l’esposizione alle radiazioni potrebbe ancora comportare. Tra questi, c’è Ivan Semenyuk, oggi ottantenne, che decise di tornare a Parishiv insieme alla moglie due anni dopo la tragedia. I due vivono ancora adesso in una piccola abitazione, nel cui giardino coltivano frutta e verdura e allevano polli e maiali. Semenyuk si dice tranquillo di vivere nel suo villaggio di nascita, forte di alcuni studi che avrebbero dimostrato che aria e suolo sarebbero puliti ed esenti da contaminazioni. Ma gli esperti non si dicono così sicuri, soprattutto perché la nube tossica causata dal disastro non avrebbe contaminato tutti i territori circostanti in maniera omogenea, quindi nello stesso villaggio potrebbe essere pericoloso, ad esempio, raccogliere bacche o frutti che crescono nella foresta.
Ma l’uomo non pare interessato agli ipotetici rischi che lui e sua moglie potrebbero correre: nel suo villaggio ha vissuto i momenti più belli, lì sono radicati i suoi ricordi più preziosi e sempre lì, afferma convinto, vuole trascorrere fino all’ultimo giorno della sua vita.