Frana Apuane: tra luoghi comuni e sicurezza delle attività estrattive

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Le immagini del drammatico incidente alle cave di Colonnata hanno innescato comprensibilmente una serie di reazioni; sono state dette molte cose che meritano attente  riflessioni  ma, in alcuni casi, ci si è spinti in considerazioni generali del tutto scollegate con il tema, la sicurezza, sul quale invece dovremmo concentrare le attenzioni“: queste le parole di Andrea Balestri, direttore dell’Associazione Industriali di Massa Carrara, che replica alle dichiarazioni rilasciate all’Adnkronos da Riccarda Bezzi, della Commissione tutela ambiente montano Cai Toscana. “‘Frane Apuane: negli ultimi venti anni si è scavato più che in 2000 anni di storia’ propone un intero campionario di luoghi comuni e di cose non vere il cui unico comune denominatore è l’avversione alle attività estrattive, indipendentemente dal fatto che siano più o meno sicure. Vediamone alcuni.

LaPresse/Iacopo Giannini
LaPresse/Iacopo Giannini

In base ai dati del Comune di Carrara, dal 1996 al 2015 (ultimi venti anni)  il marmo escavato nelle cave carraresi ammonta a 19,8 milioni di tonnellate; dal 1950 al 1995 (che non sono proprio 2000 anni!) ne sono stati escavati 25,8 milioni. La grossolana mistificazione fotografata nel titolo della notizia è impropriamente associata al fatto che le nuove, potenti tecnologie, avrebbero aumentato in modo esponenziale le quantità escavate: ebbene, da dieci anni la media dei marmi estratti dalla cave di Carrara è ferma su un livello inferiore del 25% rispetto al picco del 1995. Il fatto di ripetere appassionatamente iperboli stravaganti ed infondate non basta certo a renderle verosimili.

La stessa approssimativa mistificazione è presente nei commenti dedicati alla tassazione. Basta leggerlo il regolamento comunale di Carrara per costatare  che la tassazione non è affatto slegata dai valori di mercato. La matematica contabile della professoressa Leverotti richiede alcune precisazioni (e mi scuso subito per lo stile necessariamente affrettato delle mie chiose):  presumo che 168 milioni sia il valore (stimato) dei marmi complessivamente prodotti; questa cifra non sono i guadagni di “pochi fortunati”: vi sono compresi, infatti,  i costi di produzione. Il valore aggiunto del settore si può quantificare  pari a poco più di 110 milioni; di questi,  circa 70 sono retribuzioni per chi lavora nelle cave. L’incidenza della tassa marmi (15 milioni) e delle imposte societarie (6 milioni) va rapportata non al totale ma a 40 milioni; su questa misura del vero “margine industriale”, la tassazione complessiva incide perlomeno per il 50%.

LaPresse/Iacopo Giannini
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Sempre in termini di principi contabili, è bene ricordare che solo una piccola parte (meno del 10%) dei marmi  scavati sono  di materiali pregiati come lo statuario e il calacata. Ad ogni cava il Comune di Carrara  applica una tariffa rapportata al valore medio stimato della produzione che comprende sia blocchi di pregio che tanti materiali (bardigli, informi, ecc..) che spuntano prezzi decisamente più bassi. In ogni caso non è corretto riportare un valore medio di tassazione di  9,99 € a tonnellate; alle cave con i prodotti più pregiati si applicano (dati del Comune!) tariffe pari a cinque, sei volte tanto: 45 € a ton possono sembrare poche se rapportate ad un blocco pregiato ma sono molto incidenti, per esempio, su un semi blocco di materiale ordinario.  E’ un calcolo di medie ponderate. Per affermare con tanta perentorietà che il canone è inadeguato bisognerebbe conoscere i dati delle produzioni  cava per cava, e all’interno di ciascuna cava, la suddivisione tra materiali  pregiati e difettosi (cosa non facile anche per  l’ufficio marmo del Comune di Carrara che dispone di molti più dati di tutti noi); evidentemente la professoressa Leverotti è molto più informata ma dovrebbe fornire anche ai lettori i riferimenti quantitativi per che possano farsi un’opinione circostanziata.

LaPresse/Iacopo Giannini
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C’è un altro aspetto che merita una nota. Nel 1920 le cave di Carrara (allora quelle attive erano perlomeno il doppio) appartenevano  praticamente a tre famiglie. Oggi le imprese familiari che gestiscono  le 100 cave sono almeno 60;  a gestire alcune delle cave più importanti sono cooperative con centinaia di soci. Comunque la mettiamo, oggi le cave non sono l’attività elitaria ed esclusiva del secolo scorso e la quota della ricchezza prodotta dal marmo  che va al comune e ai lavoratori è molto, molto  più elevata.

Chiusa questa parentesi, torniamo al drammatico incidente delle cave a Colonnata per chiederci che cosa tutto questo c’entra con il tema della sicurezza nelle cave!

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