Le donne nell’industria dei videogiochi, tra conquiste e problemi

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La discriminazione sul posto di lavoro è purtroppo una delle realtà più persistenti che si trovano ad affrontare le donne nella loro vita. E questo non è vero solo per quegli ambiti che si possono credere più “arretrati”, come i lavori più umili, ma anche per quei settori che in teoria incarnano l’idea stessa di innovazione. Parliamo dei diversi settori che hanno a che fare con la tecnologia. Un’indagine ha di recente dimostrato che il 60% delle donne che lavorano nella Silicon Valley ha vissuto un’esperienza di molestia sessuale sul lavoro, nella maggior parte dei casi provenienti da un superiore. E nel mondo dei videogiochi nello specifico le cose non vanno meglio.

Il mondo della produzione di games è infatti spesso finito nelle pagine di cronaca negli ultimi anni a causa di alcuni episodi in cui delle donne sono state colpite e prese di mira in quanto donne, e in alcuni casi perché criticavano la rappresentazione del genere nei videogames. Il caso che ha fatto più scalpore è certamente il cosiddetto “Gamergate”, una serie di campagne di minacce e molestie, orchestrate online allo scopo di intimidire e screditare alcune lavoratrici dell’industria del gaming, in particolare le sviluppatrici Zoe Quinn e Brianna Wu, e la studiosa Anita Sarkeesian.

Il Gamergate ha suscitato un ampio dibattito all’interno e all’esterno del mondo dei gamer, facendo emergere il proverbiale elefante nella stanza: da molti giocatori e addetti ai lavori maschi, quello del gaming è ancora visto come un territorio esclusivo, in cui le donne devono avventurarsi solo in punta di piedi. Guai ad alzare la testa. Le minacce ricevute dalle donne colpite erano violentissime: minacce di morte e di stupro, anche contro familiari e amici, e nel caso di una conferenza che aveva come ospite Anita Sarkeesian la polizia ha dovuto setacciare il luogo della convention a causa della minaccia di un attacco terroristico. Diverse di loro sono state costrette a trasferirsi e a richiedere la protezione della polizia. Un fatto che ha scioccato molte persone e ha avuto molta eco nei media.

Questo però non ha fermato gli attacchi. L’ultimo in ordine di tempo è il caso di Alison Rapp. Rapp lavorava per Nintendo nel momento in cui la compagnia ha annunciato di voler rendere meno esplicitamente sexy alcuni dei personaggi femminili dei suoi videogiochi. A quel punto tra i molestatori si è scatenata una caccia al capro espiatorio, e lei è diventata il bersaglio prescelto, nonostante non avesse alcuna connessione con la decisione di Nintendo. L’onda di fango che l’ha colpita è stata così forte che l’azienda, viste le voci incontrollate che ormai correvano in rete su un suo presunto secondo lavoro come escort, ha deciso di licenziarla.

Di questo nuovo “trend” delle molestie online ha parlato la critica ed esperta di culture digitali Caitlin Bewey sul Washington Post, che ha sottolineato la meticolosità e l’ossessività degli attacchi contro Rapp e contro coloro che l’hanno preceduta. Questi attacchi sono particolarmente inquietanti perché provengono da una “folla” di molestatori visibilmente, almeno in parte, coordinati.

Le donne che lavorano ad alti livelli nel mondo della produzione di giochi non mancano di certo e sono sempre di più. Per quanto riguarda l’industria dell’iGaming, cioè delle scommesse online, si vede che le donne ai vertici sono molte e determinate. Ma questo non significa che le donne sperimentino sul lavoro un senso di sicurezza pari a quello degli uomini, come dimostrano l’indagine sulla Silicon Valley e i molti casi di molestie online. La strada da fare è ancora lunga.

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