Torbidità, rumori, vibrazioni e perdite in acqua non danneggiano solo l’ambiente, ma anche l’uomo. Infatti “trivellare in mare fa male all’ambiente e, se delfini e capodogli sono le prime vittime, il rischio riguarda anche la salute dell’uomo, perché noi siamo quello che mangiamo“. A dichiararlo è Ermanno Calcatelli, presidente dell’Ordine Nazionale Biologi sul tema che sta infiammando l’opinione pubblica. Perforazioni sui fondali “che vanno da qualche centinaio a qualche migliaio di metri – spiega Calcatelli – impattano sull’ecosistema marino in diversi modi, con conseguenze anche per la salute perché i residui di lavorazione vengono assimilati dal plancton, di cui si cibano i pesci che poi arrivano sulle nostre tavole“.
Questo non è “il problema principale di salute che abbiamo oggi” secondo Giandomenico Ardizzone, professore Ordinario di Ecologia Marina all’Università La Sapienza, “ma, come la tragedia nel Golfo del Messico ha dimostrato, incidenti legati alle attività di estrazioni di petrolio in mare ci sono. E se avvenissero nel Mediterraneo la tragedia sarebbe importante perché è un bacino con poco ricircolo e viviamo di turismo e pesca“. Il problema però “non è solo dovuto all’ipotesi di un incidente, ma all’impatto creato dalla trivellazione nella routine quotidiana“. Dall’analisi che riguarda ciò che avviene intorno ai punti di perforazione emergono “alterazione degli organismi che vivono sui fondali dovute a vibrazioni, creazione di torbidità e rumori, che impattano anche fortemente sulla salute di cetacei, come delfini e capodogli. Altri problemi derivano da piccoli ma quotidiani sversamenti di idrocarburi associati alle lavorazioni, nonché all’immissione in mare di sostanze che facilitano l’escavo di fondali molto resistenti“.