Mistero della Gioconda. I lavori preparatori della Gioconda e le sue prime stesure. Sono queste le chiavi che hanno consentito ai ricercatori di svelare il mistero della vera identità della donna ritratta nel capolavoro di Leonardo. I ricercatori presenteranno la scoperta mercoledì a Firenze, in una conferenza stampa nella chiesa di Sant’Orsola. Hanno accertato infatti che a ispirare il maestro furono non una ma due diverse persone, un uomo e una donna. E come ci sono arrivati? “Per la prima volta – spiega Silvano Vinceti, a capo del team che compiuto la ricerca – il tradizionale metodo basato solo sui documenti è stato superato. Sull’identità della Gioconda finora si erano moltiplicate le tesi. Ce ne sono almeno 12 che si confrontano“.
Il quadro della Gioconda, che raffigura il sorriso più fuggevole della storia dell’arte, perché quando si cerca di guardarlo meglio, sembra quasi scomparire, si trova a Parigi, al Louvre. Il periodo di produzione, in base ai documenti storici a disposizione, viene datato dal 1501 al 1515. Vinceti promette di svelare il suo mistero. “Noi – racconta – coniughiamo la ricerca storica tradizionale classica con l’uso di una serie di tecnologie. In particolare abbiamo preso lo studio preparatorio del quadro e lo abbiamo messo a confronto con le prime stesure della Gioconda, che sono quattro. Ci siamo avvalsi dei risultati delle scansioni a raggi infrarossi fatte al Louvre. Una in particolare è quella più interessante. E faremo parlare i testimoni attraverso documenti dell’epoca, Vasari e Leonardo stesso. Io non dico nulla, metto insieme soltanto gli elementi“. Non solo, ma il team ha poi incrociato i risultati anche con una analisi della ‘Gioconda con colonne’, un quadro di proprietà di un collezionista privato a San Pietroburgo scovato proprio dallo stesso Vinceti nel 2012.
Il gruppo ha fatto ricorso a un’analisi con Photoshop, il programma di ritocco grafico. Mettendo insieme tutte le immagini, sovrapponendole, ha potuto osservare similarità e differenze. Del gruppo fa farte infatti anche un esperto di grafica. A lui si affiancano un esperto di raggi infrarossi, due storici e un restauratore. La ricerca, insomma, è stata “transdisciplinare”, spiega Vinceti. Ufficialmente il team si chiama Comitato nazionale per la valorizzazione dei beni storici culturali e ambientali. Contrariamente a quello sembrerebbe suggerire il nome, non è legato al ministero dei Beni culturali. Si tratta invece di una associazione che vive senza finanziamenti pubblici. “Ci sono dentro molti professori a titolo personale – spiega Vinceti -. Raccogliamo fondi attraverso la documentaristica e i contributi privati. Non abbiamo mai chiesto fondi allo Stato, così nessuno può tirare su il telefono e dire ‘questo lo puoi fare e questo no’“.
E i risultati arrivano: nel 2013 arrivò a risolvere il ‘cold case’ della morte di Pico della Mirandola e del suo amico Agnolo Poliziano. I due umanisti furono fatti avvelenare dal segretario personale di Pico, Cristoforo da Casalmaggiore, su ordine di Piero de’ Medici, primogenito di Lorenzo il Magnifico, che odiava i due intellettuali per il loro sostegno al Savonarola che lo aveva cacciato da Firenze privandolo di tutto il suo potere politico. Un risultato possibile grazie alla scoperta di arsenico nei resti ossei di Pico. Una certezza scientifica che ha consentito di interpretare i documenti storici del Quattrocento sotto una luce nuova.