Un involucro di ferro bollente e densissimo. Così appare il nucleo del nostro pianeta, formato circa 4.5 miliardi di anni fa da materiale proveniente dall’allora giovane Sole. Nel tempo, il ferro che costituiva questo primordiale centro terrestre si è spostato sempre più verso l’interno, separandosi dai silicati circostanti. O almeno così pensano gli scienziati a partire dalle informazioni disponibili, che non sono molte: esiste infatti un limite strutturale, legato all’impossibilità di prelevare campioni dal cuore della Terra. Ma un gruppo di ricercatori coordinati dal Carnegie Institution for Science di Washington ha seguito un’altra strada, quella di provare a riprodurre in laboratorio a livello microscopico atomi di ferro simili a quelli che potremmo trovare nel nucleo.
I risultati dello studio, pubblicato su Science, forniscono importanti informazioni sull’origine della parte più interna del nostro pianeta – un processo chiamato differenziazione, che avviene quando i materiali più densi, come il ferro appunto, “affondano” verso il centro fino a formare livelli stratificati di materia.
I ricercatori – spiega l’ASI – hanno cercato di riprodurre le condizioni di altissima pressione del primordiale nucleo terrestre, osservando la loro influenza sulla composizione chimica degli isotopi in varie leghe di ferro e di elementi leggeri. Gli isotopi, “varianti” di un elemento dove il numero di neutroni è diverso dal numero di protoni, non hanno sempre la stessa massa. Questo può talvolta generare piccole variazioni nel modo in cui diversi isotopi dello stesso elemento sono “catturati” dai materiali circostanti; nel caso del nucleo terrestre, ferro o silicati. Il processo di differenziazione a livello microscopico, detto frazionamento isotopico, può lasciare tracce ben visibili. Una sorta di “firma” nelle rocce: esattamente l’effetto che gli scienziati del Carnegie hanno riprodotto in laboratorio.
Aggiungendo però la variabile della pressione, un fattore fondamentale che prima d’ora non era mai stato considerato rilevante per il frazionamento. Il gruppo di ricerca ha invece dimostrato che nel caso del ferro le condizioni di pressione estreme possono fortemente influenzare questo fenomeno chimico-fisico.
“Questo significa – commenta Anat Shahar, leader dello studio su Science – che stiamo raggiungendo una comprensione migliore della storia chimica e fisica del nostro pianeta“. “Nonostante la Terra sia la nostra casa, c’è ancora molto sul suo interno che non sappiamo. Ma la prova che l’alta pressione influenza la partizione degli isotopi è un grande passo avanti per lo studio dell’evoluzione geochimica del nostro pianeta”.