Chi c’era non può dimenticarlo, chi l’ha visto solo tramite immagini televisive, foto e racconti, ha la sensazione di esserci stato. Perché la prigionia e il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, hanno rappresentato una pagine così buia, ma al tempo stesso intensa, della storia italiana, da essere entrati a far parte nel DNA stesso del nostro Stato, portando conseguenze per diversi anni a venire. Erano i tempi in cui la penisola italiana era piegata in due e dilaniata, oltre che dalla Mafia, anche dalle Brigate Rosse.
Il rapimento del presidente democristiano era avvenuto il 16 marzo 1978, quando un commando sequestrò l’onorevole Moro in via Fani, a Roma, trucidando i cinque agenti della scorta. Si trattava di Raffaele Inozzino, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Francesco Zizzi. Dopo ben 55 giorni di prigionia durante i quali i brigatisti cercarono di trattare con lo Stato senza riuscire a ottenere nulla, Moro venne barbaramente ucciso: lo misero nel bagagliaio di una Renault rossa rubata il 2 marzo e gli imposero di coprirsi con una coperta, facendogli credere che volevano solo spostarlo in un altro luogo. In realtà lo uccisero con 10 colpi di arma da fuoco.
Ed era proprio il 9 maggio 1978 quando il corpo di Aldo Moro fu ritrovato all’interno di quello stesso bagagliaio in via Caetani, a Roma, vicino a piazza del Gesù, dove di trovava la sede nazionale della Democrazia Cristiana, ma anche a via delle Botteghe Oscure, dove c’era la sede nazionale del Partito Comunista Italiano.