Sono difficili da individuare e la loro esistenza, teorizzata dall’astrofisico inglese Mike Disney nel 1976, è stata confermata solo dieci anni dopo, grazie alla scoperta di Malin 1. Stiamo parlando delle galassie identificate con la sigla LSB (Low Surface Brightness), vale a dire caratterizzate da una bassa luminosità superficiale.
Nonostante questa peculiarità, gli occhi elettronici di Hubble, lo storico telescopio spaziale NASA–ESA, sono riusciti ad avere la meglio sul ‘nascondino’ di un esemplare di questa particolare categoria di galassie, UGC 477.
Situata ad una distanza di oltre 110 milioni di anni luce nella costellazione dei Pesci, UGC 477 si è finalmente mostrata allo sguardo di Hubble con il look ‘classico’ delle LSB: una struttura molto diffusa rispetto a galassie come quella di Andromeda e la Via Lattea e una brillantezza superficiale fino a 250 volte più debole di quella del cielo notturno.
Le galassie LSB – spiega l’ASI – non hanno un nucleo molto ricco di stelle e l’idrogeno appare come l’elemento maggiormente presente nella loro struttura. Secondo i ricercatori è la localizzazione in zone dello spazio prive di altre galassie ad aver soprattutto condizionato la struttura delle LSB, che quindi hanno avuto poche interazioni galattiche. Anche le attività di fusione, capaci di scatenare il processo di formazione di nuove stelle, sono piuttosto scarse per le LSB.
Tuttavia, realtà come UGC 477, spesso trascurate nelle mappe astronomiche, ora presentano motivi di interesse per la comunità scientifica. Le galassie a bassa luminosità superficiale, infatti, appaiono particolarmente permeate di materia oscura e quindi costituiscono un ottimo strumento per approfondire gli studi su questa sostanza dalla natura ancora in parte sfuggente.