Salute: i “ragazzi” della palestra amputati, proiettati verso una “diversa normalità”

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Ci sono vicoli che sembrano ciechi e invece spalancano mondi nuovi. Per Massimiliano Manfredi, 46 anni, è stato così. Più di 4 anni fa un colpo di sonno ha segnato l’inizio della sua nuova vita. Superstrada della Malpensa, 5 del mattino, la macchina che sbanda, lo schianto, e lui che esce illeso ma poi viene falciato da un’auto in corsa. Un appuntamento col destino. “Mi sono svegliato e mi mancava un pezzettino – racconta all’AdnKronos Salute – Ho perso la gamba destra sotto al ginocchio, ma oggi dico che quello che è successo è stato una manna dal cielo. L’incidente mi ha riavvicinato a mia figlia e ho scoperto un mondo completamente nuovo dove ho qualcosa da dare. Mi sono trasformato da perfetto egoista a chi fa il possibile per gli altri“. Da allora, un’avventura senza fine. Max – che vive a Induno Olona ed è di casa nella Polisportiva Polha di Varese – si è appena laureato con la sua squadra campione regionale della Federazione italiana tennistavolo paralimpica, si è cimentato nell’Ice sledge hockey, ha praticato kayak e parapendio. Con un equipaggio di amputati ha partecipato ai campionati italiani di rafting non agonistici dove si è classificato terzo misurandosi contro 14 squadre tutte composte da normodotati. E l’anno scorso ha iniziato un progetto di windsurf “con il quale stiamo provando a organizzare a ottobre, a Diano Marina in occasione del Windfestival, la prima regata al mondo per amputati“. Poi la collaborazione con la sezione lombarda del Comitato paralimpico italiano (con cui partecipa anche a incontri nelle scuole), e la lista potrebbe andare avanti per ore. Certo non per tutti, la rinascita è così immediata. Luciano Capponi ha 80 anni e si definisce “ancora piacente“. Nel 2010 ha perso la gamba destra, “perché le arterie non funzionavano più. Uno shock tremendo: volevo farla finita ma poi mi sono ripreso. In un centro a Sarnico (Bergamo) mi hanno riabilitato moralmente e fisicamente. Ne sono uscito alla grande e ora incito gli altri a farcela“. Capponi è uno dei ‘ragazzi’ – età media 70 anni – della palestra amputati del Pio Albergo Trivulzio di Milano, una realtà all’avanguardia dove sono passati pazienti dai 20 ai 90 anni per ricostruire una ‘diversa normalità’. Qui ogni anno, come oggi, si tiene un incontro su iniziativa del team di medici fisiatri, fisioterapisti, tecnici ortopedici e altri specialisti, che con i pazienti condividono esperienze, aspettative, desideri. La perdita della gamba non ha fermato Capponi, che a 80 anni ha ottenuto un altro rinnovo della patente e guida l’auto, si dà da fare al Pat, accompagnando le persone che ne hanno bisogno, sbrigando qualche commissione. “Faccio vedere che sia loro che io possiamo ricominciare una vita. Io ho una famiglia meravigliosa, un figlio e una figlia stupendi, sono sposato da 54 anni. Sono loro e i miei 4 nipoti che mi hanno aiutato a superare le difficoltà iniziali. L’ho detto anche a un ragazzo che ha perso entrambe le gambe: ‘La famiglia e gli amici ti vogliono bene. Pensa a questo’. Qualche giorno fa mi ha detto con orgoglio che avrebbe messo le ‘gambe elettroniche’“. Capponi ha girato il mondo (“mi mancano solo Australia e Giappone“), ha fondato un’azienda che vende fotocopiatrici e computer, anche se confessa: “Io il pc non lo so usare. Mi sono rifiutato di stare davanti a uno schermo. Oggi i ragazzi sono tutti a ‘smanettare’, il piacere di incontrarsi non esiste più“. Invece la vita “va vissuta“, sottolineano si Luciano che Max. E alla palestra amputati del Pat, nata nel 2008, insegnano proprio questo: la normalità. “Piano piano – spiega il primario Pierluigi Rossi, responsabile della palestra – sono nati una serie di servizi. Trattiamo pazienti amputati dopo la fase chirurgica e facciamo un primo lavoro con una protesi provvisoria, abilitandoli all’uso. Negli anni abbiamo attivato un ambulatorio che segue i pazienti dopo le dimissioni e poi ci siamo ampliati ulteriormente quando con la Regione Lombardia abbiamo partecipato a un gruppo lavoro per poter prescrivere protesi online, servizio utile e comodo che evita lunghe code agli sportelli“. L’ambulatorio fa lavoro di ‘manutenzione’, “modifiche e riparazione delle protesi, controlli sugli ausili costruiti dalle ditte. Offriamo cicli di riabilitazione anche al centro diurno e a domicilio. Teniamo agganciati i pazienti a un servizio riconosciuto dall’Asl di Milano (oggi Ats) come centro specializzato in prescrizione ausili ad alta complessità“, continua Rossi. “Adesso sono disponibili anche alcuni letti dedicati agli amputati nel Reparto riabilitazione e al Pat possiamo trattare anche pazienti dializzati, visto che c’è il centro di dialisi. E’ un servizio a 360 gradi“. Per ognuno c’è un percorso su misura. “Ognuno ha bisogno di una protesi diversa, adatta alle sue caratteristiche. Qui abbiamo molti anziani, però capitano anche giovani, amputati a seguito di incidenti o a causa di un tumore. Negli ultimi anni sono aumentati parecchio anche gli immigrati amputati per problemi legati alla guerra. Vengono da Paesi come la Siria o l’Afghanistan, ma anche dall’Africa. E dai Balcani, dove anche se il conflitto fa ormai parte del passato, restano tante zone minate“, spiega lo specialista. “Ci sono pazienti che hanno ripreso a guidare, altri che sono arrivati a fare corse con protesi ad hoc. Noi diamo loro i consigli per farli ripartire, dopo un trauma molto forte anche dal punto di vista psicologico. Quando è il momento e consegnamo le protesi, passano dalle parallele al girello e piano piano imparano a camminare, proprio come i bambini. Ed essere in tanti è un sistema di auto-aiuto“. Nascono anche amicizie. “La vita può riservare tante sorprese – osserva Max – Bisogna avere fiducia. Durante un viaggio in Brasile, in una scuola per bimbi poveri che ho conosciuto grazie alla mia attuale compagna, una suora mi ha detto una cosa che mi rimarrà per sempre nella testa: quando Dio ti toglie qualcosa è per darti qualcosa di più. E’ vero, a me è successo così e mi fa venire la pelle d’oca ogni volta che ci penso“.

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