“Quello dei nuovi contagi di Hiv è un problema che diventa, giorno dopo giorno, sempre più grave. Negli ultimi 4-5 anni c’è stato un incremento di infezioni tra i giovani, soprattutto nella fascia d’età 25-30 anni. Inizia, però, anche un fenomeno parallelo di diffusione del virus nella popolazione eterosessuale: se però i gruppi Lgbtq sono tendenzialmente informati, e si espongono al rischio nonostante la consapevolezza del rischio, i secondi no, e ignorano completamente il problema“. Lo ha detto Andrea Gori, direttore delle Malattie infettive al San Gerardo di Monza e uno dei tre presidenti di Icar 2016 (Italian Conference of AIDS and Antiviral Research) in corso all’Università Milano Bicocca sotto l’egida della Simit, Società italiana di malattie infettive e tropicali.
Cambia l’approccio al sesso nella fascia più giovane: se prima erano soprattutto gli omosessuali a venire additati per la loro maggiore promiscuità, ora questa tendenza coinvolge anche gli etero, e questo potrebbe minacciare nell’arco di pochi anni un’esplosione di nuovi casi per tutte quelle infezioni che, fino a un paio di anni fa, si ritenevano in parte sconfitte, in primis l’AIDS. La causa principale (intorno al 90%) rimane sempre la stessa: la mancanza del preservativo, tanto nei rapporti etero quanto in quelli omosex. Se nella comunità gay si riscontra una maggiore conoscenza della trasmissione della malattia, tra gli eterosessuali è ampia la fetta di inconsapevoli. Spazio anche alle novità nella ricerca premiate con gli Icar Awards: uno dei lavori si è focalizzato “sulla rivoluzione genetica del virus – prosegue Gori – e sui siti di integrazione del virus all’interno del genoma umano. Lo studio analizza come il virus si integra nel genoma, e sfrutta alcuni geni per diffondersi e persistere. Questo studio, i cui risvolti nel futuro sono estremamente importanti, aiuta a comprendere il meccanismo con cui questi virus si instaurano e, magari, impedirne la proliferazione“.
Il lavoro, condotto al National Cancer Institute, si basa sulla recente evidenza che la maggior parte delle cellule infettate da Hiv va incontro a proliferazione. Originando una progenie di cellule tutte uguali (da qui il nome di ‘espansione clonale’), anche il virus integrato nel genoma della cellula può così persistere nel tempo, anche dopo anni di terapia antiretrovirale efficace. La distribuzione dei siti di integrazione di Hiv nel Dna umano è in gran parte casuale. Tuttavia, geni particolari, spesso legati al ciclo cellulare e importanti nella genesi di alcuni tumori, conferiscono un vantaggio di sopravvivenza alle cellule infette e così anche al virus. I dati presentati all’ultima edizione del Croi riguardano proprio i virus integrati in questi geni ‘speciali’.