È incrostato di calcare e i suoi strati più esterni vengono divorati da ciò che resta di una stella: si tratta di un nuovo oggetto celeste scoperto da un team di astronomi grazie al Keck Observatory: sembra un pianeta, ma ha una composizione chimica piuttosto peculiare, spiega l’ASI. Il materiale roccioso che ne costituisce l’involucro è infatti formato da minerali tipicamente associati ai processi legati alla vita marina qui sulla Terra: in particolare, strutture calcaree.
Il gruppo di ricerca, formato da scienziati dell’Università della California e dell’Università di Montreal, annuncerà i risultati questa settimana nel corso del 228° incontro dell’American Astronomical Society. Il lavoro è stato realizzato a partire da passate osservazioni di una nana bianca chiamata SDSSJ1043+0855: il nucleo “morto” di una stella che una volta aveva una massa maggiore del nostro Sole. Sarebbe lei la “cannibale” responsabile di divorare gli strati esterni dell’oggetto celeste individuato da Keck. Oltre al telescopio di 10 metri installato nel gigante osservatorio delle Hawaii, i ricercatori hanno anche utilizzato dati provenienti dall’infallibile occhio del telescopio spaziale Hubble della NASA.
“Le osservazioni spettroscopiche della nana bianca – spiega Carl Melis dell’Università della California – ci hanno permesso di misurare in tempo reale la quantità di materiale roccioso ‘divorato’ dalla stella e filtrato attraverso la sua atmosfera. In pratica vediamo su scala giornaliera il materiale che una volta costituiva un pianeta e che oggi viene inglobato dalla nana bianca”. Un traguardo non da poco: infatti determinare la composizione chimica di oggetti celesti al di fuori del Sistema solare non è affatto facile.
“Ad oggi si tratta di una questione fondamentale nell’esoplanetologia – afferma Melis – perché la maggior parte dei metodi per identificare gli esopianeti non dice di che cosa il pianeta sia fatto o quale sia la sua struttura”. La particolare circostanza di un quasi-pianeta lentamente divorato da una ex stella offre agli astronomi una strada tutta nuova per studiare la composizione chimica dei pianeti rocciosi. Lanciando al tempo stesso intriganti domande sulla loro potenziale compatibilità con la vita: SDSSJ1043+0855, si è detto, ha rivelato la presenza di strutture calcaree sull’oggetto celeste che sta inglobando. Se questo materiale fosse combinato con piccolissime quantità di calcio e ossigeno, ecco che avremmo le condizioni favorevoli per lo sviluppo di forme di vita simili agli organismi con conchiglia che popolano i nostri mari.
“Questo metodo – conclude Melis – ci permette di dare un’occhiata a un ambiente potenzialmente favorevole alla vita aliena. Quando le persone pensano agli extraterrestri, di solito immaginano scenari hollywoodiani. Ma la prima prova di vita fuori dal Sistema solare arriverà probabilmente in una forma molto più lieve: come una firma appena accennata che potrebbe non essere immediatamente riconoscibile”.