Il ‘modello Norvegia’: è quello che è stato spesso invocato dai promotori della Brexit per sostenere che l’uscita dall’Unione Europea avrebbe portato al Regno Unito tutti i vantaggi dell’adesione alla Ue, eliminando il fastidio di dover cedere la propria sovranità alla burocrazia di Bruxelles. Ma la realtà dei fatti non è così rosea come sembra e a dirlo, già durante la campagna referendaria, non è stato il fronte ‘Remain’, bensì gli stessi norvegesi. La Norvegia, che nel proprio referendum del 1994 rifiutò (di poco) l’adesione all’Unione Europea, fin da allora fa parte dello Spazio economico europeo (See). L’organismo, al quale aderiscono anche Islanda e Liechtenstein, ha sì accesso al mercato unico della Ue, ma deve sottostare a gran parte delle sue regole, e non ha voce in capitolo nei processi decisionali. “Certo, facciamo parte del mercato unico, ma siamo anche soggetti a leggi che non possiamo influenzare”, ha ricordato giorni fa al Washington Post Kristin Skogen Lund, direttore generale della Confindustria norvegese. “Il Regno Unito è un membro importante della Ue ed ha un’influenza decisiva. Perché mai vogliono rinunciarci?“, si chiedeva la Lund. La premier Solberg, può funzionare solo per i Paesi piccoli A spiegare perché il ‘Modello Norvegia’ può avere finora funzionato per un piccolo e ricco Paese di 5 milioni di abitanti ed è probabilmente destinato a fallire nel caso britannico è stata la stessa premier norvegese, Erna Solberg. “Credo ci sia un motivo perché i membri dello Spazio economico europeo sono tutti Paesi piccoli. Siamo abituati al fatto che a decidere siano i Paesi più grandi. Ogni volta che parlo con i britannici di questa cosa e spiego come funziona, mi rispondono, ‘non credo potrebbe funzionare per il Regno Unito“, ha detto la Solberg al Post. Il fatto che per Oslo il rapporto con la Ue abbia funzionato lo stesso è dovuto soprattutto allo straordinario andamento dell’economia norvegese, trainata per decenni dai proventi del petrolio del Mare del Nord. Quasi nulla delle continue crisi europee di questi anni è stato avvertito nel Paese nordico. Inoltre, spiega Jan Erik Grindheim, a capo di un gruppo che fa campagna per l’ingresso della Norvegia nella Ue, “qualsiasi motivo di malcontento dell’opinione pubblica per la mancanza di voce in capitolo della Norvegia negli affari della Ue è stato messo a tacere dal fatto che le politiche Ue generalmente coincidono con gli interessi dei norvegesi“. Anche questo è uno dei motivi per cui i norvegesi, stando ai sondaggi, preferiscono confermare l’attuale status quo, invece di una piena adesione alla Ue. Schauble ha già chiarito, chi è dentro è dentro e chi è fuori è fuori Quello che i promotori della Brexit durante la campagna non hanno spiegato del tutto, inoltre, è che il modello norvegese, pur garantendo l’accesso al mercato unico, prevede anche l’accettazione di alcuni dei principi base della Ue, tra i quali la libertà di movimento delle persone. Proprio uno dei principi più detestati dagli euroscettici britannici, che durante la campagna referendaria hanno continuato a soffiare sul fuoco dell’allarme immigrazione per convincere gli elettori a votare per la Brexit. Non è poi scontato, ora che nelle urne ha prevalso l’opzione ‘Leave’, che Bruxelles si mostri così generosa nei confronti di Londra, replicando in chiave britannica il modello norvegese. Anzi, per scongiurare eventuali tentativi di altri Paesi, la Ue, nei due anni di negoziati che serviranno a definire la pratica di divorzio con il Regno Unito, potrebbe probabilmente mostrarsi piuttosto severa. Lo ha già fatto capire prima del voto il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, annunciando il mese scorso che “i disertori non saranno ri-accolti a braccia aperte”. Non bastasse, nei giorni scorsi il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schauble, in un’intervista allo Spiegel, ha escluso qualsiasi possibilità per i britannici di accesso al mercato unico, come invece sperano l’ex sindaco di Londra Boris Johnson e con lui tutto il fronte della Brexit. “Dentro significa dentro e fuori significa fuori“, aveva chiarito Schauble. C’è poi l’opzione del ‘modello Svizzera’. La Ue nel corso degli anni ha concluso con la Confederazione elvetica, che non ha voluto aderire allo Spazio economico europeo, una serie di accordi per regolare rapporti che vanno dall’immigrazione al commercio. La Svizzera è inoltre un membro associato dell’Area Schengen e aderisce alle regole di Dublino sul diritto d’asilo. Dal 1999, esiste tra Ue e Svizzera un accordo di libera circolazione delle persone, proprio uno dei punti più contestati dai promotori della Brexit. Nel 2014, gli svizzeri in un referendum hanno contestato quell’accordo, decidendo di imporre dei limiti all’immigrazione, anche per i cittadini della Ue. La questione è ora oggetto di un complicato negoziato con Bruxelles.