Il riscaldamento globale potrebbe mettere in serio pericolo la produzione cerealicola europea e la sua salubrità. Ad affermarlo è lo studio di un team internazionale, pubblicato su Nature Scientific Reports, al quale il Cnr ha partecipato con gli Istituti di scienze delle produzioni alimentari (Ispa) e di biometerologia (Ibimet). Secondo la ricerca, scrive Francesca Gorini dell’Almanacco della Scienza del Cnr, il costante aumento delle temperature può incrementare il rischio di contaminazione da aflatossine, sostanze note per i loro effetti tossici e persino cancerogeni.
“Già in anni recenti, ad esempio nel 2003, 2012 e 2015, le persistenti anomalie termiche del periodo estivo hanno fatto impennare le contaminazioni da aflatossine del mais; la conseguenza è stata una sensibile riduzione dei raccolti e l’impossibilità di utilizzarli per l’alimentazione umana e animale”, spiega Piero Toscano dell’Ibimet-Cnr. “Oggi, la nostra ricerca ha dimostrato che, se le temperature dovessero aumentare di due gradi centigradi rispetto all’era preindustriale, l’intero areale produttivo che si affaccia sul Mediterraneo vedrebbe incrementare di oltre il 50% il rischio contaminazione da aflatossine, con un aumento della loro concentrazione nel mais e in alimenti derivati superiore ai limiti previsti dalle normative europee. Inoltre, si assisterebbe a un ulteriore allargamento della zona di rischio, soprattutto nell’Europa dell’Est e nel Sud-Est europeo”.
Ma perché le aflatossine sono così pericolose? “Sono sostanze tossiche naturali, che appartengono alla categoria delle micotossine e sono prodotte dal metabolismo secondario di alcuni ceppi fungini della specie Aspergillus flavus. Tali sostanze possono svilupparsi su numerosi substrati vegetali quali i cereali – soprattutto il mais – che sono stati oggetto dello studio. L’aflatossina B1, in particolare, provoca tossicità genica: è stata riconosciuta come causa di una forma di tumore al fegato ed è dotata di proprietà immunosoppressive”, afferma Antonio Moretti dell’Ispa-Cnr. “Se l’Europa non vorrà rimanere impreparata di fronte all’emergenza aflatossine dovrà adottare una serie di strategie basate su previsioni meteo e buone pratiche agricole, come l’uso di agenti di controllo biologico e l’inserimento di cultivar particolarmente resistenti. L’attuale pratica di destinare il mais contaminato ai biodigestori, ossia impianti specifici di smaltimento, può infatti rappresentare un palliativo per mercati e produttori, ma non la soluzione al problema”.
In riferimento al recente accordo di Parigi sul contenimento del riscaldamento globale fino a un massimo di 1,5°C è quindi chiaro che un tale obiettivo non mette al riparo dal rischio di contaminazione tossicologica dei cereali. “Se da punto di vista politico l’accordo ha rappresentato un successo, altrettanto non può dirsi per l’emergenza tossine: a tale livello di riscaldamento, infatti, corrisponderebbe un aumento molto significativo di aflatossina B1”, conclude Toscano. “Oggi, grazie al gran numero di controlli, dal campo alla tavola, i rischi per il consumatore restano contenuti, ma occorre pensare fin da ora all’approvvigionamento di materia prima salubre nel prossimo futuro”.