Nuove evidenze scientifiche fanno luce sul legame tra uso di antibiotici negli allevamenti intensivi e aumento delle patologie infiammatorie nei cani e nei gatti. Sul banco degli accusati ancora una volta l’ossitetraciclina, un antibiotico ad ampio spettro che, da decenni, viene legalmente utilizzato per tenere sotto controllo il rischio di epidemie negli spazi angusti e sovraffollati degli allevamenti intensivi.
Lo studio “Toxicological Implications and Inflammatory Response in Human Lymphocytes challenged with Oxytetracycline”- condotto in collaborazione tra il Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali dell’Università FEDERICO II di Napoli, il Dipartimento di Scienze dell’Università della Basilicata, il Centro di Ricerca e Sviluppo SANYpet e pubblicato nel 2016 sull’autorevole Journal of biochemical and molecular toxicology** – ha mostrato come l’ossitetraciclina sia in grado di indurre significativamente il rilascio della citochina interferone gamma, una molecola proteica rilasciata dalle cellule in risposta, ad esempio, alle infezioni virali ed è coinvolta proprio in risposte infiammatorie sia negli esseri umani che negli animali.
Questi risultati, potrebbero suggerire una possibile chiave di lettura dell’aumento di reazioni infiammatorie croniche e ricorrenti che colpiscono cani e gatti.
Come è possibile tutto ciò? L’ossitetracina può essere presente, sottoforma di residuo, nei sottoprodotti della macellazione, i cosiddetti macinati d’osso, che, entrando nella catena alimentare, possono trasformare il cibo in un veleno per le cellule, in un fattore di intossicazione costante e progressiva.
Tali evidenze rafforzano – sempre di più – il concetto che la scelta di materie prime “pulite”, come pesce pescato, carni biologiche o che non provengano da allevamento intensivo, sia senza dubbio da preferire.