Per migliorare l’efficienza energetica in Italia nel 2015 si sono investiti 5,6 miliardi di euro, oltre il 10% in più rispetto all’anno precedente: si conferma dunque il trend positivo degli ultimi 4 anni, con una crescita annua del 14% (nel 2012 gli investimenti erano stati di 3,8 miliardi), anche se l’aumento più consistente si è registrato nel 2014, quando da 4 miliardi si è saliti a 5,2. E’ il comparto residenziale a guidare la classifica (3 miliardi, il 53% del totale), seguito da quello industriale (circa 1,8 miliardi, il 32%) e da terziario e uffici, inclusa la pubblica amministrazione, che valgono meno del 14% del totale.
E’ quanto emerge dall’Energy Efficiency Report relativo all’anno 2015 redatto dall’Energy&Strategy Group del Politecnico di Milano, presentato questa mattina al convegno “L’efficienza energetica in Italia: il mercato, gli attori e il potenziale di crescita di fronte alla svolta del sistema di incentivazione”. Oltre naturalmente agli estensori del Rapporto, la giornata di studi ha visto tra i protagonisti del dibattito i partner della ricerca – tutti nomi di primo piano tra i gruppi energetici e finanziari del Paese (Edison, Enel, E.On, European Energy Efficiency Fund, Mediocredito Italiano), i fornitori di tecnologia (Abb, Cesi, Ids, Siemesn, Tree Solutions, Turboden) e le ESCo (Alens, Bartucci, Electra Italia, Energy Team, Enerqos, Seaside, Vesta, Yousave) – ma anche le istituzioni che regolano questo mercato, grazie all’intervento di Francesco Sperandini, Presidente e Amministratore Delegato del GSE.
L’Energy Efficiency Report ha analizzato gli investimenti in efficienza energetica in Italia del comparto industriale (in particolare i settori a maggior consumo di energia), della metallurgia, della meccanica, dell’alimentare, della chimica, della carta, dei prodotti per l’edilizia e del vetro e della ceramica, ma anche quelli del terziario, soprattutto Grande distribuzione organizzata e hotel, e del settore residenziale più uffici, così da identificare le soluzioni maggiormente impiegate e di stimare le cifre spese per realizzarle, nonché le variazione rispetto agli anni precedenti.
La lista delle tecnologie, costruita a partire dalle indagini condotte nei precedenti rapporti (aria compressa, motori elettrici, inverter, sistemi di gestione dell’energia e di combustione efficiente, refrigerazione, cogenerazione, illuminazione, building automation, chiusure vetrate, superfici opache, pompe di calore, caldaie a condensazione, solare termico), è stata ulteriormente aggiornata dalle interviste condotte agli operatori di servizi di efficienza energetica, oltre 130, e a un campione significativo di clienti, più di 90 per i comparti industriali e terziario.
Come è ovvio, in ambito industriale prevalgono le soluzioni che intervengono sull’efficientamento del processo produttivo e sull’erogazione dei servizi generali, mentre nel residenziale e nel terziario quelle che impattano sull’involucro edilizio e sul riscaldamento/raffrescamento. Per comprendere meglio l’entità degli investimenti si è deciso di utilizzare un indicatore relativo, un indice di propensione all’efficienza energetica che rapporta gli investimenti fatti con il costo della bolletta energetica per ciascun settore.
E’ nel residenziale (12,2 milioni di edifici) che gli investimenti hanno toccato la punta massima, raggiungendo i 3 miliardi: nel 2015 si è registrato un vero e proprio boom di installazioni di pompe di calore, il cui volume d’affari è aumentato di oltre il 50%, arrivando a toccare 1,1 miliardi di euro. Anche gli interventi sull’illuminazione hanno fatto registrare una crescita significativa (450 milioni) grazie soprattutto al progressivo aumento di maturità della tecnologia LED.
Nel comparto industriale, che rappresenta oltre il 30% degli investimenti complessivi, le soluzioni di efficienza energetica più adottate sono stati i sistemi di combustione efficienti, che hanno raggiunto i 387 milioni di euro, ben 197 dei quali nel settore metallurgico. Significativi anche gli investimenti realizzati da vetrerie (80 milioni) e cementifici (63). La cogenerazione invece ha registrato un volume d’affari di 378 milioni, suddivisi tra il settore alimentare (101 milioni), chimico (99), meccanico (88) e della carta (76). Interessanti anche gli investimenti per efficientare l’illuminazione, 179 milioni di euro, distribuiti in maniera piuttosto omogenea.
Nel terziario, che l’analisi circoscrive a GDO e hotel, gli investimenti hanno toccato i 130 milioni e si sono focalizzati sull’efficientamento dell’illuminazione (64,5 milioni, cioè circa il 50%). La refrigerazione, applicata solo dalla GDO, ha visto investimenti per 12,6 milioni, ma si attestano su buoni livelli anche i sistemi di cogenerazione: 10,3 milioni investiti, quasi tutti in hotel (8 milioni). Si segnala infine il trend crescente degli investimenti in building automation che, seppur piuttosto limitati se comparati a tecnologie più mature, cominciano ad assumere valori apprezzabili (4,2 milioni).
Molto simile la situazione degli “uffici”, che nel nostro Paese sono circa 1,3 milioni, dove i 650 milioni di investimenti hanno riguardato per il 43% le soluzioni per efficientare l’illuminazione (279 milioni). È rilevante anche il peso delle installazioni di superfici opache, poco meno del 25% del mercato totale (156 milioni di investimento). Di questi 650 milioni, 105 sono legati a interventi su edifici della pubblica amministrazione, il 60% dei quali riguardanti le 43.000 scuole del territorio nazionale (64 milioni).
I settori con maggiore propensione all’efficienza energetica risultano essere quelli della carta (2,8 % degli investimenti sulla bolletta annua), dei prodotti per l’edilizia, del vetro e della ceramica, che però movimentano cifre limitate. Al contrario la metallurgia, che per le sue dimensioni ha i valori assoluti maggiori (353,6 milioni di euro di investimento) grazie soprattutto ai sistemi di combustione efficienti, si colloca soltanto a metà classifica. Fanalino di coda è il settore alimentare, che presenta un indice di propensione all’efficienza energetica piuttosto ridotto, pari alla metà di quello della carta.
Il ruolo ancora marginale delle ESCo
Il fatturato complessivo delle ESCo (Energy Service Company, società che effettuano interventi finalizzati a migliorare l’efficienza energetica) nel 2015 ha raggiunto l’1,43 miliardi, ma gli investimenti in efficienza energetica non hanno superano i 654 milioni, che se paragonati ai 5,63 miliardi realizzati in totale dimostra fin troppo bene il peso decisamente basso di questi operatori. La gran parte degli interventi infatti è della tipologia self-made, in cui l’operatore realizza “in casa” l’intervento di efficienza energetica, rivolgendosi generalmente a un fornitore tecnologico e sfruttando le competenze del proprio ufficio tecnico (se si tratta di un operatore industriale o del terziario) oppure più semplicemente i consigli degli installatori (se si tratta del residenziale o, in taluni casi, degli uffici).
E’ indubbio che le ESCo abbiano difficoltà a inserirsi nel settore della PA (dove la loro quota di mercato è di circa il 15%) e soprattutto in quello residenziale (appena l’1). Ma anche se si escluono questi settori, e ci si concentra sugli investimenti in efficienza energetica di alimentare, carta, chimica, prodotti per l’edilizia, meccanica, metallurgia, vetro e ceramica, GDO e hotel, che ammontano complessivamente a 1,42 miliardi, si vede che le ESCO raggiungono una quota di mercato di appena il 21,2% del totale. Gli interventi self-made sono decisamente preponderanti quando si tratta di efficientare i processi core: gli oltre 922 milioni di investimento sono per ben il 90% eseguiti direttamente dai proprietari del processo! Le ESCo arrivano però a oltre il 40% nei processi non core.
Le ragioni di questa differenza sono varie: da un lato, è evidente come l’intervento su un processo core abbia delle specificità tecniche e settoriali tali per cui sia difficile per le ESCo che operano sul mercato italiano, tutto sommato di piccole dimensioni rispetto ai clienti, sviluppare competenze adeguate e competitive; dall’altro, c’è una forte riluttanza da parte degli operatori industriali a permettere a soggetti esterni di mettere mano ai propri processi core, e per di più per una finalità – il risparmio energetico – non ancora percepita come fondamentale. Al contrario, le similitudini tra processi non core (servizio vapore, motori elettrici, aria compressa…) anche in settori diversi permettono alle ESCo il raggiungimento di utili effetti di scala, ad esempio negli acquisti, e di scopo.
Il grado di maturità del mercato italiano per quanto riguarda l’efficienza energetica è dunque piuttosto basso, se si considera che il ricorso agli operatori specializzati è limitato e circoscritto alle attività non core. Ma proprio alle ESCo si chiede di compiere un deciso cambio di passo, andando a intaccare gli investimenti self-made delle imprese che già realizzano numerosi interventi di efficienza energetica e quindi focalizzandosi sulle fasi core del processo produttivo, sfruttando i rapporti consolidati con le imprese per incrementare il loro indice di propensione all’efficienza energetica.
Il potenziale dell’efficienza energetica in Italia
Le direttive e gli obiettivi in termini di efficienza energetica per il nostro Paese sono racchiuse nella Strategia Energetica Nazionale (SEN) e nel cosiddetto Pacchetto 20-20-20. La prima – più restrittiva – stabilisce per l’Italia un consumo di energia primaria nel 2020 di 158 Mtep (unità di misura che rappresenta la quantità di energia rilasciata dalla combustione di una tonnellata di petrolio grezzo), la seconda nello stesso anno impone un consumo di 167 Mtep. Al termine del 2015 l’Italia ha fatto registrare un consumo di energia primaria di circa 165 Mtep, ossia già al di sotto della soglia prevista dal 20-20-20 e di poco superiore a quella indicata dalla SEN. Tuttavia il raggiungimento della quota target è dovuto principalmente al calo dei consumi e della produzione conseguenti alla crisi economica, con inevitabile riduzione del consumo energetico, non a un miglioramento dell’efficienza: nello scenario di riferimento della SEN e del Pacchetto 20-20-02 infatti per il 2015 si prevedevano consumi energetici pari a 197,5 Mtep, quasi il 20% in più di quelli registrati.
E’ quindi necessario cambiare ottica e calcolare – con riferimento ai consumi attesi – gli effettivi risparmi previsti per ogni anno da qui al 2020 e confrontarli con i reali investimenti in efficienza energetica e i conseguenti risparmi. Infatti, se si considera uno scenario che procede al ritmo degli ultimi trend, si vede che gli investimenti partono dai 5,99 miliardi di euro previsti per il 2016 e arrivano ai 7,85 miliardi del 2020, con un tasso di crescita annua del 5,5%: il totale nel quinquennio 2016-2020 si attesterà quindi a 34,46 miliardi di euro, con risparmi cumulati di energia primaria al termine dei cinque anni di 56,7 Mtep, contro i 52,5 previsti dal 20-20-20 e i 70 della SEN. Rispetto agli obiettivi di efficienza energetica per l’Italia il gap è ancora significativo se comparato al target previsto dalla SEN, che si raggiunge all’80%, mentre si è sostanzialmente in linea con quello meno sfidante del Pacchetto 20-20-20.
“Le condizioni di contorno e la presenza di fattori abilitanti o, al contrario, di barriere giocano tuttavia un ruolo chiave: la differenza tra uno scenario ottimistico e uno scenario pessimistico è di oltre il 40%, a testimonianza che ancora molto si può fare (o “disfare”) tenendo conto del momentum raggiunto nell’ultimo biennio dall’efficienza energetica – commenta il professor Vittorio Chiesa, Responsabile Energy&Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano -. E’ innegabile che la crisi economica abbia portato i consumi ad un livello già prossimo a quello target per il 2020, e che le previsioni di crescita del PIL dei prossimi 3-5 anni non siano tali da fare immaginare un’inversione di tendenza. Ma non è certo vera efficienza quella che si basa sul mancato consumo: si può fingere che la crisi non ci sia stata e pensare ad un efficientamento ‘in valore assoluto’ pari a quello previsto dal Pacchetto 20-20-20? Ovviamente la risposta è no, ed è quindi necessario che gli operatori e gli stakeholder dell’efficienza energetica nel nostro Paese si diano dei nuovi obiettivi, concreti e raggiungibili”.