Una filiera che sia in grado di implementare buone pratiche per la sicurezza nelle cave di marmo, pur nella consapevolezza che una cava qualche rischio lo comporta sempre, e arrivare ad un testo unico che semplifichi la burocrazia, anche dei controlli. Ma anche pensare a sgravi contributivi per gli operatori virtuosi, per chi cioè opera nel rispetto delle autorizzazioni e della sicurezza. È quanto è emerso venerdì all’incontro “Attività estrattiva, sicurezza in cava oggi e domani” organizzato nel Palazzo della Provincia di Massa, dall’Ordine dei Geologi della Toscana. Obiettivo dell’incontro era quello di far dialogare i principali operatori del settore, istituzioni, privati e cavatori per trovare il modo di dare vita ad una filiera di estrazione del marmo che ponga la sicurezza al primo punto: dalla progettazione alla lavorazione. Perché, come ha affermato la presidente Maria Teresa Fagioli: «Affettare la montagna è operazione sistematicamente ed intrinsecamente pericolosa, ancor di più quando la montagna è ripida e gli ordini vanno evasi alla svelta, pena perderli».
I cavatori al centro della filiera. «La loro cultura – continua Fagioli – è leggendaria. Ma con le tecnologie disponibili ed il valore intrinseco di quanto estratto, il problema di come non soccombere alla pericolosità dell’attività estrattiva del marmo, ovvero come fare sicurezza in cava, non è solo una questione di contrasto agli interessi speculativi, è anche qualcosa che coinvolge profondamente il modello culturale di riferimento e la capacità del corpo sociale di organizzarsi. Perché in cava si muore e ci si fa male, anche perché parte del quadro normativo sulla sicurezza porta la chiara impronta di chi in cava, ovviamente, non c’è mai stato».
Regole certe e rispetto delle norme con un quadro legislativo chiaro. Come ha evidenziato Francesco Ceccarellivice presidente OGT e coordinatore Commissione Cave OGT, «Si deve partire da una progettazione ben fatta, che prevede la collaborazione tra cave dello stesso bacino e la consapevolezza che in materia di sicurezza non si può scherzare». Da qui le proposte dell’Ordine per provare almeno a ridurre i rischi di incidente. «Di certo – continua Ceccarelli – una progettazione ben fatta è il primo passo per la sicurezza, ma anche il quadro normativo deve essere chiaro e non frammentato. Per questo è auspicabile una norma unica sulla sicurezza per le cave sul modello della 81/2008». Inoltre, «deve essere rivista e dettagliatamente specificata la figura del Direttore dei Lavori, infatti, riteniamo opportuno inserire una limitazione al numero di direzioni lavori. Quello sui cui, poi, non si può derogare è la formazione continua specifica, compresa una formazione integrata con tutte le maestranze». Infine, «occorre favorire il miglioramento tecnologico e la cultura della sicurezza».
Non si scherza sulla sicurezza. Un tema, quello della consapevolezza, sottolineato anche da Fagioli. «La sicurezza in cava è problema individuale perché è il cavatore stesso che non deve mai dimenticare i propri limiti o, magari per stanchezza o abitudine, sottovalutare i rischi, ma è soprattutto problema sociale perché non è giusto morire di lavoro. Come geologi, operatori scientifico tecnici del settore, sappiamo bene che le carenze progettuali incrementano i rischi, ed altrettanto e forse più lì incrementa l’assenza di un controllo continuo e competente».
Controlli, ma da soli non bastano. In cava si continua a morire. I controlli ci sono, vengono riscontrate violazioni, notificate sanzioni. Ma in cava si continua a morire. Perché ancora molte cose non vanno, come ha messo in luceMaura Pellegri ingegnere del Pissl, secondo cui spesso i capi cava sono lasciati soli a prendere le decisioni. E anche i direttori spesso sono oberati di responsabilità. «Non si può pretendere che un direttore responsabile di cava – commenta la presidente dell’Ordine dei Geologi – responsabile della sicurezza di qualche decina di cave possa dedicare a ciascuna il tempo indispensabile per individuare l’insorgere di specifiche situazioni pericolose e prevenirle. E non è follia pensare, come abbiamo richiesto alla Regione Toscana, di contingentare ad un numero ragionevole, le cave che un solo uomo, o donna, può dirigere».
Alla tavola rotonda, il Procuratore della Repubblica di Massa e Carrara Aldo Giubilaro, ha auspicato una maggior cultura della legalità, mentre il sindaco di Carrara, Angelo Zubbani, e il vicesindaco di Massa, William Berti, hanno ribadito l’impegno del Comune non solo verso le attività estrattive, ma anche alla stesura di regolamenti comunali per un corretta coltivazione delle cava. Infine l’onorevole Martina Nardi (Pd) e la senatrice Sara Paglini (M5S), hanno preso l’impegno a farsi carico a Roma delle istanze del territorio.
La vita dei cavatori non è materiale di consumo. Per ridurre il rischio di incidenti in cava, c’è bisogno di uno sforzo di tutta la filiera. «Occorre – sostiene Fagioli – attenzione continua e controllare adeguatamente; ovviamente questo ha un costo. È una questione di scelta sociale, se vogliamo o meno ridurre al minimo il margine di rischio residuo, comunque ineliminabile. Se si, è necessario per forza investire in sicurezza una parte adeguata degli utili dell’attività. Se non vogliamo questo, ci allineiamo di fatto a quei paesi le cui condizioni sociali economiche politiche consentono di considerare la vita dei cavatori come uno dei vari materiali di consumo, e sicuramente neppure il più costoso».
Macchinari troppo “intelligenti” non rispettano la montagna. Tra i problemi emersi durante il convegno quello dell’utilizzo di macchinari sempre più evoluti, definiti addirittura “intelligenti”, ma che, come hanno sottolineato i cavatori stessi, non conoscono la montagna e non ne rispettano i tempi e i ritmi. Tagliano troppo velocemente e non sono stati pensati per le cave di marmo.