Gran Bretagna: studiosi preoccupati da ipotesi Brexit, il futuro della scienza è a rischio

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Scienziati preoccupati dall’ipotesi Brexit. Oltre un terzo dei ricercatori attivi all’Università di Cambridge è straniero, e il 23% arriva da altre nazioni europee. “Io stesso sono nato in Francia e ho studiato a Parigi, ma sono venuto a Cambridge perché la Gran Bretagna è uno dei posti migliori d’Europa per fare SCIENZA“. E’ la testimonianza dell’epidemiologo Olivier Restif, attivo presso il Dipartimento di Medicina veterinaria dell’Università di Cambridge, fra gli studiosi intervistati dalla Bbc online per fare il punto sulle possibili conseguenze di un’eventuale Brexit per la SCIENZA britannica.

“Le malattie infettive vanno oltre confine e dobbiamo lavorare insieme, ma anche sviluppare delle politiche unitarie, per controllare queste malattie e finanziare importanti programmi di ricerca. E questo può essere fatto solo con l’Ue“, dice Restif. Insomma, in un mondo globalizzato la SCIENZA è sempre più frutto di collaborazioni internazionali. E la permanenza in Europa ha un ruolo importante. “Occorre attrarre i migliori cervelli per fare la migliore SCIENZA. I giorni del genio solitario che lavora da solo sono andati – dice il capo della Scuola di medicina veterinaria di Cambridge, James WoodDobbiamo essere parte della famiglia dei ricercatori, e possiamo farlo lavorando insieme“. Un impegno in cui Cambridge e l’intera Gran Bretagna si sono distinte in questi anni, emergendo come una potente e rinomata ‘casa della SCIENZA’ in Europa. Lo testimoniano non solo i ‘cervelli’ stranieri, molti anche italiani, attivi nel Regno Unito, ma anche le pubblicazioni scientifiche, le citazioni, il ranking universitario e i premi Nobel portati a casa.

Anche questo spiega perché 13 scienziati al top, inclusi Stephen Hawking e il presidente della Royal Society Sir Paul Nurse hanno aggiunto la loro voce al coro per il ‘Remain’ in Europa. In una lettera al ‘Daily Telegraph‘ gli studiosi spiegano che la SCIENZA dovrebbe essere “al centro del dibattito Ue” e che perdere i finanziamenti europei metterebbe a rischio il futuro della ricerca Gb. Ma non tutti sono d’accordo: per Matt Ridley del Comitato SCIENZA e Tecnologia della Camera dei Lord dall’Ue arriva solo il 3% della spesa totale in ricerca britannica, e che non devi essere un membro dell’Ue per fare domanda di finanziamento. I programmi principali, come FP7 e Horizon 2020 sono aperti a Paesi come Tunisia e Israele, Islanda e Norvegia, sottolinea Lord Ridlay. Insomma, alla fine molta paura per nulla? Se la Gran bretagna dovrebbe comunque riposizionarsi a livello globale in caso di Brexit, qualche scienziato potrebbe pensare di scommettere su altri Paesi, depauperando il patrimonio di brillanti menti che ha già fatto la storia della SCIENZA all’ombra del Big Ben.

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