Hanno dai 30 ai 35 anni e continueranno a crescere nei vivai di atenei e centri italiani, da Messina a Torino. Segni particolari: una passione incontenibile per la ricerca – coltivata anche con parentesi all’estero – che le ha spinte a inseguire i segreti dell’universo, a studiare le origini del gioco d’azzardo patologico e della propensione al rischio fin nelle scimmie e a mettersi a caccia di farmaci, nuovi biomarcatori per diagnosi meno invasive e strategie sempre migliori di cura. Sono 5 camici rosa di talento, con un sogno scientifico nel cassetto, le vincitrici della 14esima edizione del premio L’Oréal – Unesco ‘Per le donne e la scienza‘, consegnato oggi durante una cerimonia all’università Statale di Milano, sotto gli occhi del ministro dell’Istruzione, università e ricerca Stefania Giannini che ha definito “irrinunciabile” il contributo delle donne alla ricerca sottolineando la necessità di superare “gli stereotipi e pregiudizi che ancora resistono”. Per le vincitrici, selezionate fra 320 candidature piovute da tutta Italia, 5 borse di studio da 20 mila euro ciascuna, il cui valore è aumentato per la prima volta quest’anno rispetto alle edizioni passate (quando la borsa era di 15 mila euro).
Con le borsiste 2016, il numero totale delle premiate nei 14 anni del programma ‘L’Oréal Italia per le donne e la scienza‘ arriva a quota 70. La giuria era presieduta anche quest’anno dall’oncologo Umberto Veronesi che in un video si è congratulato con le ragazze ricordando l’avvio nel 2002 del programma a sostegno delle donne in camice, alle quali lo scienziato ed ex ministro ha “da sempre” dato il proprio “sostegno”. Per la 31enne Irene Di Palma, la 35enne Valentina Emmanuele, la 33enne Maria Vittoria Micioni Di Bonaventura, la 30enne Martina Sanlorenzo e la 34enne Francesca Zoratto l’amore per la vita di laboratorio è nato in momenti diversi. Direttamente al ‘banco’ per Micioni Di Bonaventura, università degli Studi di Camerino, quando durante la tesi sperimentale è entrata nel vivo dei suoi studi sull’obesità e sui disordini alimentari, e in particolare sugli episodi di binge eating. Per Emmanuele, oggi ricercatrice all’università di Messina è stata “la curiosità di capire i meccanismi alla base delle malattie” che studiava sui libri. Per Zoratto che svolgerà il suo progetto di ricerca nell’Unità di primatologia cognitiva dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione (Istc) del Cnr, la scintilla si è accesa fra i banchi del liceo. Per lei che “fin da bambina” osservava “gli animali, affascinata dal loro comportamento”, la ricerca in etologia è stata “la scelta più naturale”. Guarda da sempre all’immensità dell’universo Irene Di Palma, Dipartimento di fisica dell’università Sapienza di Roma, una passione per la ricerca che “non ha un punto d’inizio, c’è sempre stata sotto forma di curiosità per le cose non note”, ma è cresciuta nel tempo diventando sempre più forte “facendo fisica e astrofisica” sul campo. Sanlorenzo era una bambina che chiedeva continuamente i perché delle cose.
“Crescendo ho deciso che volevo diventare un medico e quando mi sono trovata a occuparmi in prima persona di pazienti affetti da melanoma, uno dei tumori più aggressivi della pelle, è nata in me la voglia di provare a fare qualcosa di più“. Emmanuele si occupa di un gruppo eterogeneo – per il quadro clinico e l’età di esordio – di malattie genetiche rare: le malattie mitocondriali. La diagnosi è complessa e il gold standard è la biopsia muscolare, “che rimane costosa e invasiva. Il mio progetto di ricerca si occuperà di validare nuovi biomarcatori sensibili e poco invasivi per lo screening e la diagnosi” di queste malattie. Il premio è una chance “per continuare a fare ricerca in ambito universitario nel mio Paese, di continuare a fare ciò che mi piace“.
Parte da una particolare scimmia sudamericana, il cebo dai cornetti, il progetto di Zoratto che promette di svelare qualcosa di più sul gioco d’azzardo patologico. “La propensione al rischio non è propria solo della nostra specie – spiega – Lo studio del comportamento degli animali in condizioni di rischio può aiutarci a comprendere i meccanismi psico-biologici alla base del gioco d’azzardo patologico negli esseri umani. Il mio progetto di ricerca si propone di indagare, nelle scimmie e nei ratti, in che modo la vicinanza di un individuo appartenente alla stessa specie influenzi le decisioni prese in queste condizioni“. La missione è “aumentare le conoscenze” e aiutare così anche “la comunità medica e i legislatori a individuare le strategie più appropriate per la prevenzione e il trattamento” del disturbo. L’ambizione di Di Palma è invece “capire qual è la funzione interna delle stelle di neutroni, quali sono i processi alla base della loro formazione, i campi magnetici e la loro evoluzione“.
E per questo dovrà cogliere “i suoni nascosti dell’universo“, andare alla ricerca dei “segnali gravitazionali“. La ricerca in questo campo “è entusiasmante ma anche difficile“. Borse di studio simili, dice, permettono a giovani impegnate in questi studi “di arrivare a grandi ricerche appoggiandosi sulle spalle di persone che credono fermamente nelle donne“. Il progetto in cui è impegnata Micioni Di Bonaventura prevede invece “lo studio del sistema adenosinico e il ruolo nello sviluppo dell’obesità e dei disordini alimentari“. Da un lato la missione è “testare l’effetto di un agonista selettivo per il recettore dell’adenosina per verificare se il composto sarà in grado di inibire l’assunzione di cibo in animali che hanno sviluppato binge eating, dall’altro andare a studiare come la natura di queste interazioni possa influenzare il rischio individuale di sviluppare queste patologie“.
Il melanoma è la missione della vita per Sanlorenzo: “Grazie alla borsa avrò modo di studiare le basi precliniche per ottenere la miglior combinazione di due strategie” contro questo tumore: “farmaci a bersaglio molecolare e immunoterapia“. La giovane scienziata riflette su come “alcuni ambiti di ricerca siano ancora prettamente maschili. Come donna il mio augurio è che queste differenze non ci siano più. La scienza per evolvere ha bisogno di differenze più profonde, ha bisogno di diverse menti, e non di diversità di corpi che sono stati biologicamente connessi a quelle menti“. Lo sottolinea anche Cristina Scocchia, amministratore delegato di L’Oréal Italia: “Siamo ancora lontani dalla parità di genere nella scienza. Per questo vogliamo combattere i pregiudizi e sostenere le giovani scienziate e portarle alla ribalta delle cronache, proponendole come modelli positivi, giovani eroine moderne, in grado di incoraggiare altre donne a intraprendere la stessa carriera“.