L’aspettativa di vita nel sesso femminile è superiore in tutte le fasce di età rispetto a quello maschile, ma negli ultimi vent’anni questo divario si sta riducendo: uno dei fattori maggiormente responsabili è l’abitudine al fumo che tra le donne è aumentata dagli anni 50 in maniera progressiva e sta così livellando il “gap di genere“. E’ quanto emerso in Friuli Venezia Giulia con il programma di sorveglianza PASSI-Progressi per le aziende sanitarie in Italia (2012-15) secondo i quali nella regione fumano circa il 22% delle donne dai 18 ai 69 anni e circa il 31% degli uomini.
I dati sono stati illustrati dalla epidemiologa della Direzione centrale salute Francesca Valent a margine della tavola rotonda “Le differenze di genere, un difficile equilibrio tra fisiopatologia, risposte della società e organizzazione sanitaria“, a cui è intervenuta l’assessore regionale alla Salute Maria Sandra Telesca, in occasione del congresso regionale Fadoi FVG- Federazione delle associazioni dirigenti ospedalieri internisti che si è tenuto a Udine. Tra le altre evidenze sottolineate da Valent, che nel 2013 aveva curato il corposo e accurato studio su “Lo stato di salute della donna in Friuli Venezia Giulia“, vi è il fatto che in regione, nel 2015, le donne, in maggior misura rispetto ai pazienti di sesso maschile, alla dimissione in ospedale sono state ricoverate in Rsa e hanno mostrato una prevalenza di malattie autoimmunitarie e endocrine che possono avere inplicazioni importanti sulla qualità della vita.
“Anche grazie a dati molto accurati raccolti in questi anni, la Regione ha potuto inserire nel Piano della prevenzione molte prospettive avanzate che sono state suggerite proprio dalla medicina di genere“, ha spiegato Telesca ricordando che il tema si inserisce “nei principi cardine su cui ruota la riforma sanitaria regionale, ovvero un approccio “olistico” alla persona, l’equita’ all’accesso delle cure e l’appropriatezza della prevenzione, della diagnosi e delle cure“. E’ grazie agli studi della medicina di genere, che “le piu’ frequenti patologie non sempre si manifestano o rispondono alle terapie e ai farmaci nello stesso modo negli uomini e nelle donne. Ma – ha sottolineato l’assessore – occorre che tutti gli attori contribuiscano al cambiamento culturale: le istituzioni nella loro programmazione socio sanitaria, i medici attraverso una formazione adeguata e il mondo della ricerca con trail adeguati“.