Un vento nebulare formato da particelle cariche di energia imperversa intorno a J1834.9-0846, una stella di neutroni ultra magnetica nota anche come magnetar. Individuata dall’osservatorio Swift della NASA nel 2011, durante una breve esplosione di raggi X, è associata ai resti della supernova W41 situata a circa 13.000 anni luce da noi, al centro della Via Lattea.
La scoperta – spiega l’ASI – rappresenta un’occasione unica per studiare le proprietà e il percorso evolutivo delle magnetar, resti ultra densi derivati dall’esplosioni di supernovae. Queste stelle massicce sono tra i magneti più potenti dell’Universo, milioni di volte più potenti degli omonimi che si possono trovare sulla Terra. Sono molto dense e di forma insolita, differente da quella delle tipiche stelle di neutroni.
Le osservazioni di Swift sono state supportate da quelle dell’osservatorio ESA XMM-Newton X-ray che ha rilevato un insolito e irregolare brillamento a circa 15 anni luce dal centro della magnetar. I dati recenti, combinati con quelli di marzo e ottobre 2014 hanno confermato che questo bagliore è associabile con la prima individuazione diretta del vento nebulare intorno a una stella di neutroni.
L’esempio di vento nebulare meglio conosciuto, fino ad oggi generato da una pulsar, soffia nel cuore dei resti della supernova situata nella Nebulosa del Granchio. Si tratta di un esemplare giovane – meno di 1000 anni di età – che ruota velocemente, almeno una dozzina di volte al minuto.
Il rapido movimento rotatorio della pulsar, combinato con il suo potente campo magnetico, accelera gli elettroni e le altre particelle a livelli altissimi di energia. Questo processo genera un flusso denominato vento delle pulsar, la sorgente delle particelle che compongono il vento nebulare.
“La formazione del vento nebulare richiede flussi di particelle di grandi dimensione e crediamo che il guscio in espansione formato dai resti della supernova funzioni come il collo di una bottiglia che isola il flusso per qualche migliaia di anni – ha sottolineato Alice Harding del Goddard Space Center della NASA, co-autrice dello studio – Nel momento in cui il guscio raggiunge dimensioni considerevoli, diventa troppo debole per poter trattenere le particelle che fuoriescono, portando alla dissoluzione della nebulosa”.
Lo studio dei flussi energetici prodotti dalla magnetar studaita da Swift e XMM, nel corso di migliaia di anni, rappresentano uno ‘storico’ dell’evoluzione della stella che può aiutare la comunità scientifica a risolvere il mistero della natura di questi rari oggetti celesti.