Agricoltura: per la barbabietola nuovi sbocchi nel biogas, sperimentazioni in Veneto

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Cinquemila nuovi ettari di barbabietole in Veneto, entro il 2018, da utilizzare negli oltre cento impianti di biogas regionali. E’ l’obiettivo che si prefigge il progetto di Cgbi, la Confederazione generale di bieticoltori italiani che riunisce le associazioni di Confagricoltura e Cia, per trovare nuovi sbocchi per la bieticoltura. La barbabietola da zucchero sta attraversando un momento di sofferenza e rischia di soccombere sotto i colpi del crollo del prezzo del prodotto, della progressiva chiusura degli zuccherifici e dell’abolizione delle quote prevista nel 2017, che potrebbe portare a scompensi del mercato mondiale con un tonfo ulteriore delle quotazioni. I dati 2015 (fonte: Veneto Agricoltura) parlano chiaro: la superficie investita è scesa del 15 per cento a Padova (3.650 ettari), che perde il primato di prima provincia bieticola regionale e del 13 per cento a Rovigo (3.850), mentre guadagna il 6 per cento Venezia salendo a quota 3.737 ettari. Forte calo a Verona, che dimezza la quota di superficie scendendo a 595 ettari, e residuali le colture a Vicenza (363 ettari) e Treviso (293). Il progetto salva-barbabietole segue un trend europeo e mondiale e prevede la diversificazione degli utilizzi del prodotto, sulla scorta della consolidata esperienza tedesca, che consiste nell’utilizzo della barbabietola integrale insieme al mais in impianti di biogas. Il progetto ha dimostrato vantaggi sia nella produzione di metano, che per l’equilibrio agronomico dei terreni coltivati, offrendosi come un’opportunità per mantenere attiva la filiera compromessa dal crollo del prezzo dello zucchero e una valida integrazione nella rotazione colturale. La sperimentazione è stata fatta grazie alla collaborazione tra istituti di ricerca specializzati in bieticoltura e aziende.

BARBABIETOLA ROSSA AFFETTATAIn Veneto capofila è stato Giovanni Musini, presidente della sezione Agroenergie di Confagricoltura Veneto, bieticoltore e detentore di un impianto di biogas a Bagnoli di Sopra, in provincia di Padova. ”La produzione di barbabietola da zucchero non funziona più e gli zuccherifici chiudono – spiega -. In Italia rimangono aperti solo gli zuccherifici della cooperativa Coprobi di Minerbio e Pontelongo, con il risultato di una consistente riduzione delle colture, che in Italia è scesa nell’ultimo decennio da 250 mila a 30 mila ettari“. “La sperimentazione delle bietole per utilizzo diverso si è appena conclusa e ha dato risultati ottimi: l’attività è remunerativa e presenta vantaggi agronomici, in quanto rappresenta un’ottima coltura da inserire in rotazione con mais e cereali. Dal punto di vista biologico, la bietola si caratterizza per la veloce digeribilità della sostanza secca e l’alta resa in metano, superiore al mais, negli impianti di biogas. La sua produzione lorda vendibile è, inoltre, elevata e quindi garantirebbe un’elevata sostenibilità economica”, spiega. Per questo il nuovo filone promette di svilupparsi su nuove superfici: da aree tradizionalmente vocate come quelle in provincia di Padova, Rovigo e Treviso ad aree abbandonate come quella dell’ex zuccherificio di Ceggia, in provincia di Venezia. Riaprire la partita con nuove superfici significa tenere in piedi un indotto importante per il territorio veneto: oltre 1700 aziende di bieticoltori, oltre a dipendenti, fornitori e trasportatori. ”Tutte le province possono beneficiare di questa opportunità – chiarisce Giangiacomo Bonaldi, presidente dell’Associazione nazionale bieticoltori di Confagricoltura e referente dell’area Triveneto -. Si possono utilizzare i 119 impianti di biogas già esistenti in regione destinando superfici nuove a colture di barbabietole o affittando i campi allo scopo. Per la diffusione di questa importante filiera sono però necessari investimenti in macchinari indispensabili per il trattamento (pulizia e triturazione) e l’insilamento. Le associazioni bieticole e le ditte sementiere stanno investendo importanti risorse per lo sviluppo della filiera, ma si rendono necessarie minime misure accompagnatorie a livello pubblico che, almeno nei primi tre anni, garantiscono il decollo dell’attività”.

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