Una moderna ‘Arca di Noè‘ per salvare gli animali dal rischio di estinzione: è di portata biblica la nuova sfida lanciata Ian Wilmut, lo scienziato noto al mondo per la clonazione del primo mammifero fotocopia, la pecora Dolly, nata 20 anni fa nei laboratori del Roslin Insititute vicino a Edimburgo. Così come il patriarca narrato nel libro della Genesi, incaricato da Dio di trarre in salvo tutte le specie animali per ripopolare la Terra dopo il diluvio universale punizione dell’umanità corrotta, Wilmut sogna ora di creare una biobanca di cellule germinali animali che in futuro potrebbero tornare utili per scongiurare l’eventuale scomparsa di alcune specie dal pianeta. Un’arca hi-tech che, invece di ospitare per ogni animale un esemplare maschio e uno femmina, dovrebbe conservare cellule dalle quali ricavare i gameti di entrambi i generi, così da poter dare origine all’occorrenza a nuovi embrioni. I ‘passeggeri’ della biobanca sarebbero quindi grandi bidoni refrigeranti. Lo scenario è riportato sulla testata scozzese ‘The National’, e secondo Wilmut passa da una strada più percorribile rispetto a quella battuta dai padroni – nel mondo i casi sono già numerosi – disposti a spendere cifre da capogiro per far clonare il proprio pet nella speranza di riavere un animale identico a quello scomparso. “Un animale si può clonare, ma la sua personalità no“, avverte il papà di Dolly sul quotidiano britannico ‘Telegraph’. Il rischio, in altre parole, è quello di mettersi in casa un cane o un gatto gemello dell’originale per aspetto, ma con un carattere completamente diverso rispetto all’amico rimpianto. Il nuovo sogno di Wilmut si basa sul fatto che una parte del processo di clonazione coinvolge la riprogrammazione di cellule adulte, il cui orologio biologico viene riportato indietro nel tempo per permettere agli scienziati di indirizzarne a piacere il destino. Con lo stesso principio sono state prodotte le cellule staminali pluripotenti indotte, le iPS che nel 2012 sono valse al giapponese Shinya Yamanaka il premio Nobel per la Medicina.
La possibilità di applicare questa tecnica alla costruzione di una nuova Arca di Noè non è immediata, ammette Wilmut, ma “i ricercatori stanno iniziando a sviluppare la capacità di produrre gameti dalle iPS. Mi sentirei quindi di presumere che un giorno, per le specie che stiamo studiando, saremo in grado di produrre gameti e dunque embrioni“. “Nella guerra al rischio estinzione riuscirci sarebbe una rivoluzione“, è convinto il ricercatore, pur precisando che “il successo di questo progetto dipenderebbe anche dalla possibilità di trovare una madre surrogata adatta” a ospitare l’embrione e portare a termine una gravidanza. Per alcune specie ci sarebbero ulteriori ostacoli. E’ il caso degli uccelli, le cui uova non possono essere congelate a differenza di quelle dei mammiferi. Ma la ricerca avanza e sembra dare i suoi frutti. Un team guidato da Mike McGrew del Roslin Institute, ad esempio, ha sviluppato una nuova metodica per coltivare cellule germinali primordiali (precursori parzialmente maturi di ovuli e spermatozoi) crioconservabili. E in uno studio pubblicato l’anno scorso, gli scienziati hanno illustrato un progetto con cui sperano di salvare dalla scomparsa alcuni uccelli rari. Il ‘salvataggio genetico’ è un fronte aperto e gli studi sono già in corso per cercare di salvare dall’estinzione il rinoceronte bianco del Nord. Gli ultimi 3 esemplari di questa specie si trovano nella riserva naturale Ol Pejeta in Kenya, dove sono stati trasportati dallo Zoo Dvur Kralove in Repubblica Ceca. Un panel internazionale di esperti si è riunito in dicembre a Vienna per tracciare una road map delle possibili vie da seguire verso il traguardo. Fra i ricercatori in campo nella ‘missione rinoceronte’ c’è anche l’italiano Cesare Galli, fondatore di Avantea, laboratorio di biotecnologie con sede a Cremona, e famoso papà del primo toro clonato Galileo e della prima cavalla fotocopia Prometea. Al momento le strade esplorate dagli scienziati per strappare il rinoceronte bianco al suo destino sono diverse: dalle tecniche riproduttive più avanzate fino all’ipotesi clonazione, non ancora esclusa, passando proprio per le iPS. Risorse genetiche congelate prelevate dal grosso animale, infatti, sono state messe da parte negli anni a San Diego negli Usa e in Europa a Berlino. E partendo da questo materiale, l’idea è di “generare dei gameti in vitro – ha spiegato Galli a maggio in un’intervista all’AdnKronos Salute – Su questo sono al lavoro ricercatori tedeschi e americani che stanno tentando di riprogrammare le cellule somatiche in staminali pluripotenti indotte“. Ma sarà un gruppo giapponese, che dalle iPS ha già derivato dei gameti di topo, a tentare l’impresa con il rinoceronte. “La loro idea è di fare gameti in vitro da più soggetti” e poi entrerebbe nuovamente in gioco il team di Galli: “Con le nostre tecniche – ha riferito – dovremmo ricavare degli embrioni per poi impiantarli su femmine di rinoceronte bianco del Sud“. Nulla del genere è mai stato tentato prima. “I rinoceronti sono animali di dimensioni notevoli, con la cute inscalfibile, e anche la via vaginale per il trapianto dell’embrione è da verificare“. Ci sarebbe anche un’altra possibilità, più complicata soprattutto da un punto di vista etico e da verificare nella sua fattibilità: “Usare la femmina del cavallo come madre surrogata, che sarebbe più gestibile vista la lunga esperienza che già abbiamo alle spalle“. La storia, insomma, è appena iniziata. Ma con ogni probabilità parlerà anche un po’ italiano.