Per dar vita a un nuovo campus dell’Università Statale di Milano nell’area EXPO, dove traslocare le facoltà scientifiche oggi concentrate in Città Studi, “siamo in grado di sostenere un rischio di investimento che copre i due terzi” dei costi stimati per la realizzazione del progetto, compresi fra 340 e 380 milioni di euro. “La nostra è una vera manifestazione di interesse che presenteremo ad Arexpo, il piano che abbiamo delineato è sostenibile. Ma serve una decisione politica, una condivisione dell’impegno sul fronte politico. Parliamo di un finanziamento non impossibile secondo me“. Ne è convinto il rettore dell’università degli Studi meneghina, Gianluca Vago, che ha annunciato il parere favorevole degli organi di governo dell’ateneo (Senato accademico e Cda) alla possibilità di percorrere la strada dell’addio alla storica sede di Città Studi per una nuova struttura nell’area che ha ospitato l’Esposizione universale. “Aver ottenuto questo sostegno – assicura – è un passaggio fondamentale e non scontato. Significa dire che come università Statale crediamo in questa sfida e siamo pronti ad assumerci un rischio importante“, sottolinea. Tutto parte “dall’idea di un modello completamente nuovo. Stiamo lavorando per il sogno di un campus dell’area scientifica costruito su tecnologie digitali, di una scelta che sarebbe strategica per l’ateneo, ma anche per la regione e in certi versi per il Paese“. Sarebbe una svolta storica “a 100 anni dalla posa della prima pietra di Città Studi“.
Non si tratta, argomenta Vago, “di una pura questione logistica, ma di un rischio che riteniamo sia giusto correre in un’ottica di competitività e di opportunità offerte anche dalle sinergie possibili nell’area” di EXPO. Un’area su cui, secondo i piani delineati a livello nazionale, dovrebbero convergere diversi progetti, primo fra tutti lo Human Technopole. E sullo sfondo c’è anche la partita per portare a Milano la sede dell’Ema, l’agenzia europea del farmaco. Di una ‘nuova Città Studi’ in area EXPO si parla da tempo. “L’idea è nata già a febbraio 2015“, ricorda Vago. Il punto di partenza è l’attuale situazione “complicata” della Statale con le sue sedi: “Abbiamo grandi difficoltà su Città Studi, nata 100 anni fa con il suo primo insediamento e poi sviluppatasi in modo frammentato – ammette Vago – Senza contare che quasi la metà degli edifici è stata costruita prima del 1960. Non stiamo lavorando al meglio e l’attuale modello ci sembra difficile da recuperare secondo standard di efficienza moderni. Nonostante i dati di produzione scientifica siano buoni, l’ottica è quella di un futuro competitivo con le altre realtà europee“. E proprio dal confronto con centri di riferimento internazionali prende le mosse il lavoro fatto con Boston Consulting Group. “Ci sono tre possibilità: mantenere la sede a Città Studi ristrutturando gli spazi esistenti, realizzare un nuovo campus in area metropolitana, oppure farlo nell’area EXPO che ci sembra la soluzione più efficiente“, dice Vago. Il nuovo campus in EXPO prevederebbe la riduzione di circa il 40% delle attuali superfici lorde occupate, da 250 mila mq a massimo 150 mila (l’ipotesi progettuale di partenza delineata da uno studio di Kengo Kuma ipotizzava un campus da situare nella parte orientale dell’area EXPO, di 190 mila mq), “con una riduzione stimata dei costi di gestione non inferiore a 8-9 milioni di euro l’anno” e altre economie ipotizzabili, per esempio con il miglioramento della classe energetica.
Ma prima di tutto c’è il capitolo costi di realizzazione, stimati fra 340 e 380 mln. Per coprirli si dovrebbero seguire 3 diverse strade. “La prima è valorizzare l’area di Città Studi per la quale, da uno studio di Cassa Depositi e Prestiti e da dati dell’Agenzia delle entrate, stimiamo un valore di circa 100-120 milioni di euro“, elenca Vago. Si potrebbe procedere seguendo il modello che il Policlinico di Milano ha messo in campo proprio con la partnership di Cdp e le ipotesi sono alienare direttamente edifici e terreni di proprietà dell’ateneo o costituire un fondo immobiliare. La Statale, prosegue Vago, dovrebbe poi affrontare “un indebitamento significativo“, su una base che si ipotizza ventennale. “L’entità è delimitata dai vincoli di legge posti agli atenei pubblici. Una previsione sostenibile che non impatti sulla normale attività di ateneo si aggira sui 130 milioni di euro“, dice Vago. Così si coprirebbero due terzi dei costi dell’operazione. Resta un terzo che dovrebbe arrivare “con il cofinanziamento” da parte delle istituzioni pubbliche, soprattutto Governo. “Tecnicamente potremmo spingerci oltre ma – precisa Vago – non abbiamo margini di autonomia ed è necessario un ragionamento prudenziale. Penso che il tema centrale sia politico. Il tutto va inserito in un contesto più ampio e il percorso va ora studiato con Arexpo“. Un momento decisivo, spiega il rettore, “potrebbe essere il prossimo Documento di programmazione economico finanziaria. Se si conferma l’intenzione di definire un assetto gestionale e finanziario per la parte dello Human Technopole, immagino che in questo contesto ci sarà la definizione almeno dell’indirizzo politico sulla destinazione delle aree e dovrebbe emergere qualche indicazione di fattibilità anche per il campus della Statale. In sede di discussione di Legge di stabilità potrebbe essere inserito un capitolo destinato al Post EXPO, nell’ambito del quale si potrebbe capire se l’ipotesi campus regge anche in termini economici“. I tempi: “In generale si parla di 6-7 anni e pensare a una cantierizzazione prima di un anno e mezzo pare difficile. Io immaginerei il 2021-22 come primo anno accademico in area EXPO“. Ma la posta in gioco per il rettore è chiara: “Se non esiste un contesto infrastrutturale logistico competitivo non fai più ricerca, non c’è alternativa. Il destino sarebbe un declino dignitoso e malinconico. Servono due condizioni per attrarre i migliori cervelli: una è pagarli un po’ di più, l’altra è portarli in un posto dove se vogliono fare un esperimento c’è una ‘macchina’ che lo permette. Altrimenti non verrà più nessuno, né a Rho né in Città studi“.