Petri a Sciascia: dolore e indignazione per il terremoto in Belice

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“Dolore” e “indignazione” per il terremoto in Belice, ma soprattutto la rabbia nei confronti di una classe politica e di un sistema mediatico che non sanno far altro che improvvisare “un’orgia politico-pubblicitaria e pubblicitaria-televisiva“. Così il regista Elio Petri reagì al terremoto del Belice, come dimostra una lettera inedita inviata a Leonardo Sciascia il 26 gennaio 1968, pubblicata sulla rivista internazionale di studi sciasciani “Todomodo” (Olschki editore), conservata nell’epistolare Sciascia-Petri presso l’Archivio della Bibliomediateca del Museo Nazionale del Cinema di Torino. La notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968, in una vasta area della Sicilia occidentale, si verificò un terribile sisma che – al di là del dramma di vittime, ferite e sfollati – rivelò la disastrosa situazione di un Sud Italia arretrato e in buona parte abbandonato dalle istituzioni. La lettera del cineasta viene scritta al romanziere siciliano, osserva Gabriele Regola, autore del saggio sull’epistolario inedito, ed esprime diverse sensazioni, un insieme di indignazione, pietas, risentimento profondo e violento. La difesa dei siciliani, nella lettera di Petri a Sciascia, diventa anche una violentissima presa di posizione contro la classe politica democristiana, anche evocando “esecuzioni“, un “sassaiola” o una “revolverata“, e incitando a fare “qualcosa di clamoroso, di anarchico“. “Caro Leonardo, il primo impulso è stato quello di cercarti, in qualche modo, ma era difficile raggiungerti per telefono, lì per lì. Il secondo impulso – scriveva Petri a Sciascia a proposito dell’emozione suscitata dal terremoto del Belice – è stato quello di venire giù, ma non ce l’ho fatta. Poi è passato il tempo senza che facessi niente di concreto, se non dare qualche soldo e raccogliere indumenti negli armadi“. “Quello che è successo mi ha riempito di dolore e indignazione. Indignazione verso il Padreterno, la natura, la televisione, l’esercito, i giornali, l’Italia, verso tutti. Mi sono accorto che amo veramente la Sicilia e i siciliani. Ho immaginato per loro gesti di rivolta. L’assassino di Pieraccini, l’esecuzione di Andreotti, almeno una sassaiola contro le auto nere dei compunti visitatori governativi o controgovernativi. Ho sperato che dalla folla dei ‘visitati’ venisse una revolverata, qualcosa di clamoroso, di anarchico“. “Nessuno si ribella più, nemmeno i ribelli di professione – osservava Petri sempre nella lettera a Sciascia – Tutto si limita ormai all’altarino di Che Guevara. Bruno mi ha informato di quello che ha visto. Certi urbanisti venuti in Sicilia al seguito di Mancini mi hanno raccontato i dettagli dell’orgia politico-pubblicitaria e pubblicitaria-televisiva che ha sostituito le scosse sismiche. Non riesco a immaginare altro che esecuzioni sommarie, Che Guevara o non Guevara“.

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