C’è chi la mette nel cappuccino invece del cacao, chi la spruzza sui dolci al posto dello zucchero a velo, e chi a dicembre la dissemina per casa perché il suo aroma ‘fa tanto Natale‘. Ma nascoste fra i riccioli dei bastoncini di cannella ci sarebbero anche virtù neurologiche utili a chi ha bisogno di migliorare la memoria e le performance cognitive. A svelare la faccia ‘smart‘ di una delle spezie più usate in cucina è uno studio condotto da un gruppo di neuroscienziati del Rush University Medical Center di Chicago, pubblicato sul ‘Journal of Neuroimmune Pharmacology‘ e sostenuto dai National Institutes of Health, dal Dipartimento degli Affari dei veterani e dall’Alzheimer Association.
Il lavoro suggerisce che ‘aiutini’ a base di cannella riescono a invertire i cambiamenti biochimici, cellulari e anatomici che caratterizzano il cervello dei topi con ridotta capacità di apprendimento. Questo grazie a una sostanza in cui la spezia si trasforma all’interno dell’organismo. Sui roditori cavia “ci siamo riusciti con successo“, dice il coordinatore della ricerca americana Kalipada Pahan, convinto che “se questi risultati venissero replicati anche negli studenti con le stesse caratteristiche, sarebbe un passo notevole passo avanti“. Prima però, precisa lo studioso, c’è bisogno di ulteriori test sui cosiddetti ‘poor learner‘.
Secondo le indagini di Pahan e colleghi tutto si gioca nell’ippocampo, una piccola regione del cervello che genera, organizza e immagazzina i ricordi. Gli scienziati hanno scoperto che l’ippocampo dei poor learner, rispetto a quello dei good learner, presenta meno Creb (proteina coinvolta nella memoria e nell’apprendimento) e più subunità alfa-5 di recettori Gabaa (Gabra5, proteine che generano segnali inibitori). I topi ‘arruolati’ hanno ricevuto cannella in polvere. Nell’organismo la spezia viene metabolizzata in sodio benzoato, una sostanza chimica impiegata come farmaco in caso di danni cerebrali. Una volta arrivato al cervello dei topi poor learner, il sodio benzoato ha aumentato i livelli di Creb, ridotto i Gabra5 e stimolato la plasticità dei neuroni dell’ippocampo. Come risultato, negli animali meno dotati sono migliorati memoria e apprendimento, misurati prima e dopo l’esperimento con un test ad hoc. Gli stessi effetti non sono stati invece registrati nei topi good learner.
Non è la prima volta che per il team statunitense la cannella riserva dolci sorprese. In lavori precedenti, infatti, il gruppo di Pahan aveva osservato che la spezia può invertire le mutazioni tipiche del cervello di topi malati di Parkinson. Grazie a questi studi i neuroscienziati di Chicago sono diventati autentici intenditori di spezie: usando la spettrometria di massa hanno analizzato il destino metabolico dei due principali tipi di cannella diffusi negli Usa – la cannella cinese e quella di Ceylon – scoprendo che “benché entrambi vengano metabolizzati in sodio benzoato – puntualizza Pahan – la cannella di Ceylon e molto più pura della cinese che contiene cumarina, una molecola epatotossica“. AdnKronos