Ricerca: verso un vaccino contro le malattie da dieta moderna

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Sono la spina nel fianco dello stile di vita occidentale: gli effetti negativi sulla salute di una dieta moderna ricca di grassi. Ma adesso una scoperta made in Italy apre una nuova strada da esplorare: quella del vaccino. Immunizzare contro alcuni batteri intestinali, presenti in sovrannumero quando ci si alimenta con una dieta occidentale ricca di grassi, può ridurre gli stati infiammatori e prevenire malattie metaboliche come l’aterosclerosi e il diabete di tipo 2. L’intuizione è frutto del lavoro portato avanti da un team di ricercatori del Laboratorio di microbiologia e virologia dell’Irccs ospedale San Raffaele di Milano, in collaborazione con l’università degli Studi dell’Insubria di Varese. Lo studio, che si è guadagnato le pagine di ‘Scientific Report’, rivista scientifica del gruppo ‘Nature’, è stato condotto su un modello murino e in futuro potrebbe avere “importanti ricadute” per la prevenzione delle malattie in questione sull’uomo, spiegano gli autori fra cui figura anche il medico ‘paladino’ dei vaccini – molto seguito sui social network – Roberto Burioni, insieme a Massimo Clementi (entrambi sono professori dell’università Vita-Salute San Raffaele) e a un ricercatore che oggi insegna nell’ateneo insubrico, Filippo Canducci, che ha coordinato il lavoro. A questo primo traguardo si è arrivati a piccoli passi, spiega Burioni commentando i dati dello studio anche sul suo profilo Facebook: “Prima ci siamo accorti che nelle coronarie dei pazienti colpiti inaspettatamente da un infarto venivano incredibilmente prodotti anticorpi contro una sostanza estranea che non conoscevamo. Poi siamo riusciti a capire che queste sostanze estranee erano proteine di batteri che sono normalmente ospiti del nostro intestino. Oggi siamo riusciti a dimostrare che vaccinando un topo con queste sostanze, l’aterosclerosi (che provoca l’occlusione delle arterie ed è per questo la causa degli infarti, degli ictus e di tanti altri guai) viene notevolmente rallentata“. La ricerca indaga il complesso equilibrio tra la flora batterica intestinale e il sistema immunitario dell’organismo che la ospita. E’ noto da tempo che la dieta occidentale, ricca di grassi e povera di fibre, altera la flora batterica, favorendo la crescita di determinate popolazioni di batteri in sfavore di altre, spiegano gli esperti. Alcuni di questi batteri però, se presenti in sovrannumero, attivano il sistema immunitario dell’organismo, avviando così il processo di infiammazione e favorendo l’insorgenza di malattie metaboliche e cardiovascolari, come appunto l’aterosclerosi. L’intuizione dei ricercatori è stata quella di immunizzare l’organismo verso questi batteri in sovrannumero, aiutandolo a produrre quei globuli bianchi che si occupano di modulare la risposta immunitaria e riducendo così il processo infiammatorio. Nello studio – che ha ricevuto finanziamenti del ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca e del ministero della Salute – rispetto ai roditori che non avevano ricevuto il vaccino, quelli immunizzati mostravano ridotti livelli di infiammazione, meno zucchero nel sangue e una progressione più lenta delle placche aterosclerotiche. “Questo risultato – afferma Canducci – apre una via di studio veramente nuova e rappresenta il primo passo verso la messa a punto di vaccini volti a ridurre le conseguenze nocive di una cattiva alimentazione“. Burioni tiene a ribadire che in questa fase “gli esperimenti sono stati fatti tutti nei topi e siamo ancora lontani da un utilizzo clinico. Però è un piccolo, importante passo nella giusta direzione” e i risultati, commenta all’AdnKronos Salute, “ci fanno pensare che si tratti di un valido approccio e di un modello affidabile di vaccino“. Un approccio innovativo, aggiunge Canducci, “perché non eliminiamo i batteri, ma sfruttiamo la loro presenza per ottenere un effetto benefico. La strategia è modificare la risposta che l’organismo ha nei confronti di questi batteri, che vivono nell’intestino e aumentano in condizioni di aumentata infiammazione: facciamo in modo che non reagisca aumentando l’infiammazione ma riducendola. Ora ci impegneremo perché questa scoperta raggiunga la meta della sperimentazione clinica“.

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